Introduzione
Scrivere su una "malattia" paradigmatica delle situazioni di benessere-malessere della società di oggi è un atto dovuto per la sua rilevanza (numerica, sociale, economica e clinica) ed appare, al tempo stesso, superfluo per l'altrettanta rilevanza ed abbondanza di letteratura sull'argomento in ogni settore, da quello strettamente medico-specialistico e scientifico-biologico, a quello economico, etico e di programmazione sanitaria.
La malattia di Alzheimer, con le sue pesanti implicazioni nel più generale problema della qualità di vita della popolazione che invecchia, dall'area strettamente medica in cui, nota da circa novant'anni, non ha trovato a tutt'oggi una adeguata soluzione-terapia, negli ultimi dieci anni è transitata in quella delle problematiche sociali che, seppur in diversa misura, interessa e coinvolge tutti i Paesi.
Pertanto, consapevoli dei tanti limiti, è apparso ragionevole dividere l'articolo in una prima parte più specificatamente dedicata alla fase iniziale o diagnostica della malattia ed una seconda dedicata ai farmaci e all'assistenza nella fase più avanzata della malattia con l'obiettivo di focalizzare l'attenzione del lettore su: 1° parte:
fase iniziale e/o lieve della malattia
2° parte:
terapia farmacologica con rapporto costo (elevato)/benefici (modesti e transitori) sfavorevole;
fase avanzata e o terminale, ad alta intensità assistenziale.
La malattia
La demenza viene tipicamente definita come una sindrome clinica caratterizzata dal deterioramento della memoria e dal declino, cronico e progressivo, delle capacità intellettive o cognitive rispetto al livello di sviluppo precedentemente raggiunto. Quasi sempre la malattia coinvolge però altri aspetti quali comprensione, capacità di apprendimento, linguaggio con uso inappropriato dei vocaboli, giudizio, orientamento spazio-temporale, capacità di effettuare calcoli matematici, capacità di eseguire movimenti coordinati, alterazione di tratti del carattere, tali da interferire con le attività lavorative o sociali della persona.
Per la diagnosi di malattia di Alzheimer è essenziale il riscontro nel paziente di tutte le condizioni previste (Tabella 1), mentre i soli criteri A e B, con l'esclusione di uno stato confusionale acuto (criterio E), giustificano la presenza di una demenza primitiva o secondaria.
Il tipo di insorgenza (entro o dopo i 65 anni) insieme alla presenza dominante di deliri o depressione caratterizza sottotipi di malattia di Alzheimer.
Le demenze secondarie, numericamente inferiori ma concettualmente rilevanti, giustificano ed impongono una accurata fase diagnostica con impiego di tecnologie sofisticate e di competenze specifiche nel settore. A questo proposito e nel contesto italiano è interessante rilevare la scarsa o assente definizione di una particolare disciplina competente giacché neurologi, geriatri e psichiatri sono egualmente coinvolti (soprattutto nella fase diagnostica) mentre indefinita appare la figura del medico di base (inevitabilmente coinvolto nella fase assistenziale).
La Figura 1 ripresa dalla letteratura più recente ed autorevole sintetizza ed esplicita il cuore delle conoscenze attuali sula malattia di Alzheimer la cui patogenesi viene ipotizzata come risultato finale di una cascata di eventi. Questi processi includono la deposizione di proteina beta-amiloide in placche corticali extracellulari, la formazione di gomitoli neurofibrillari costituiti quasi interamente da tau-proteina eccessivamente fosforilata, a cui fanno seguito degenerazione sinaptica con marcata perdita di neuroni in aree corticali e subcorticali quali l'ippocampo, aree associative della corteccia e nuclei basali. Tali rilievi istopatologici sono associati a evidenti processi infiammatori, formazione di radicali liberi e deficit di NGF (nerve growth factor).
La deficienza di estrogeni è associata con impoverimento dell'arborizzazione dendritica e ramificazione assonale ed è dimostrato contribuire alla progressione della malattia. Il deficit neurotrasmettitoriale che ne consegue interessa prevalentemente e progressivamente il sistema colinergico fino a raggiungere la soglia di manifestazioni clinicamente rilevabili. Sulla base di tali evidenze continua a svilupparsi un enorme impegno di ricerca, documentato dall'incredibile quantità di letteratura, che, presuntuosamente, potremmo sintetizzare nelle seguenti linee:
identificazione di markers biologici per la diagnosi di demenza di Alzheimer e diagnosi pre-clinica e/o pre-sintomatica della demenza;
identificazione di fattori di rischio potenzialmente modificabili;
eziopatogenesi della malattia con identificazione dei siti di azione di nuovi farmaci.
A tutt'oggi, però, i farmaci disponibili per la malattia di Alzheimer, sicuramente la forma di demenza più estesamente ed intensivamente indagata, sono di efficacia scarsissima. Il medico continua a trovarsi di fronte ad un paziente e ad una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso centrale che non è nè in grado di prevenire nè di ralletare nella sua evoluzione.
La lunga durata di malattia (8-10 anni), la molteplicità dei sintomi (cognitivi e non cognitivi), l'età critica di esordio (prevalenza per demenza di tutti i tipi del 6-7% nella popolazione 65 anni, oltre il 20% nella popolazione 75 anni) e la sua variabilità, la differente velocità di progressione, le frequenti polipatologie associate configurano una grande diversificazione dei quadri clinici.
Il tentativo di classificare-descrivere-semplificare nei classici tre stadi (iniziale, intermedio, terminale oppure lieve, moderato, grave) è pertanto di comodo. In realtà non esistono due casi clinici di malattia di Alzheimer simili e, soprattutto nella fase iniziale, la possibilità di combinazioni fra sintomi e loro gravità rende difficile/impossibile sia una diagnosi di certezza che di definizione dello stadio clinico raggiunto (Tabella 2).
A tutt'oggi, in assenza di un marker biologico (strumentale o di laboratorio) certo, la diagnosi di malattia di Alzheimer, per noi disponibile, è sempre di probabilità o possibilità. L'algoritmo diagnostico procede per esclusione e solo il riscontro autoptico/bioptico delle alterazioni neuropatologiche insieme al quadro clinico configurano una diagnosi di certezza (Tabella 3).
Altrettanto vera appare la considerazione di una obiettiva difficoltà di definire uno stadio intermedio della malattia (nella refertazione abbondano quadri medio-lievi, medio-gravi) mentre appare più operativa soffermare la nostra attenzione su:
stadio iniziale; collegato alla percezione, quasi sempre da parte dei familiari, di "qualcosa che è cambiato", di una lieve disabilità rispetto al livello precedente di funzionamento, alla possibilità-opportunità-necessità di accertamenti diagnostici;
stadio avanzato; collegato alla consapevolezza della gravità e progressione della malattia, di una disabilità che richiede-pretende una assistenza continua (vedi 2a parte).
La fase iniziale e/o lieve della malattia
La diagnosi "precoce" (rispetto a ?) è concetto relativamente nuovo e, probabilmente, ancora poco applicabile alla malattia di cui ci stiamo occupando.
La necessità di diagnosi accurate e tempestive è e sarà sempre più incalzante per la maggiore conoscenza e consapevolezza della malattia, per un obiettivo ed esponenziale incremento delle fasce di popolazione a rischio, per l'opportunità di possibili nuove terapie. Quest'ultimo aspetto verrà esaminato più in dettaglio nella 2 a parte dell'articolo.
Il ruolo dei diversi specialisti rispetto al medico di base, la definizione di protocolli e percorsi diagnostici, l'impiego di indagini strumentali e di laboratorio, la maggiore o minore complessità dell'indagine neuropsicologica sono temi ampiamente discussi ed urgenti ma per i quali non esistono risposte definite e provate.
Certamente la disponibilità di farmaci (quali gli inibitori della acetilcolinesterasi) anche se modestamente e parzialmente efficaci accentua enormemente il fenomeno.
Una recente review (Harvey RJ, 1999) nel confrontare 15 differenti linee-guida inglesi, formulate successivamente all'introduzione del donepezil (1997), rileva una sostanziale discordanza in tutte le raccomandazioni (esclusivamente basate su consensus opinion) e conclude che nessuna rispetta standard di qualità.
Il percorso diagnostico, che qui può essere solo accennato, domina la fase iniziale della malattia (quando questa venga riconosciuta) ed alcuni momenti o passaggi critici sono ampiamente riconosciuti nella letteratura specifica:
deficit della memoria "fisiologico"/"patologico";
depressione nell'anziano;
tipo di demenza (primitive/secondarie, irreversibili/reversibili);
sottotipo di demenze (per es. Alzheimer, demenza frontotemporale, demenza con corpi di Lewy).
1. Deficit della memoria
Argomento difficile, per le sue tante implicazioni, è la distinzione fra il decadimento della memoria connesso con l'invecchiamento e quello connesso con la demenza. La percezione di un deficit della memoria può essere di comune riscontro nella popolazione anziana ma, fortunatamente, sotto gli 80 anni il rischio di sviluppare una demenza è relativamente basso. In uno studio (Hanninen T, 1995) solo il 9% di soggetti tra i 60 e 78 anni consapevoli di deficit della memoria ha sviluppato una accertata demenza nei 3,5 anni (in media) successivi. Dall'altro lato, soprattutto in individui molto anziani (ultra85enni), deficit delle capacità cognitive (non riferite e non percepite) sono rilevabili nel 40% dei soggetti (Howieson, 1997).
La ricca terminologia (anglosassone) e le quasi-simili definizioni sono indicative della difficoltà di precisare questo possibile fisiologico calo della memoria:
age associated memory impairment (AAMI, perdita di memoria legata all'età);
age related cognitive decline (deterioramento cognitivo età correlato, è definito nel DSM-IV come un "declino nelle funzioni cognitive identificato in modo obiettivo conseguente al processo di invecchiamento, non attribuibile a malattia mentale o neurologica);
mild cognitive disorders (deterioramento cognitivo lieve, espressione introdotta nella 10a versione della Classificazione Internazionale delle Malattia ICD 10 per indicare un deficit cognitivo che non raggiunge il livello di demenza.
Il significato clinico di queste condizioni resta ancora incerto e poco si conosce circa la loro natura biologica. E' verosimile che tra soggetti che presentano un lieve declino cognitivo siano rappresentati sia fasi prodromiche di demenza sia anziani normali. Entro certi limiti la differenza si potrebbe considerare semplicemente quantitativa e solo la gravità del deficit può giungere a renderla qualitativa. Infatti anche le lesioni anatomopatologiche considerate tipiche della malattia di Alzheimer compaiono normalmente nel sistema nervoso centrale dell'anziano.
I criteri di valutazione sono a tutt'oggi esclusivamente neuropsicologici tesi ad identificare deficit selettivi delle diverse funzioni cognitive (attenzione, linguaggio, memoria anterograda).
2. Depressione nell'anziano
Sintomi depressivi possono essere di frequente riscontro negli anziani dove lutti e perdite sono esperienza quotidiana. Più difficile è il riscontro dei criteri necessari a porre diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore secondo DSM-IV (Tabella 4) che, comunque, restano i soli criteri di riferimento, ampiamente citati in tutti i lavori destinati a selezionare pazienti con "vera" malattia di Alzheimer "probabile".
L'ampia sovrapposizione tra le due condizioni (depressione demenza) pone frequenti problemi di diagnosi differenziale e di decisione clinico-terapeutica (farmaci antidepressivi possono essere controindicati nella demenza e scatenare episodi confusionali).
Elenchi, più o meno lunghi e artificiosi, di discutibile utilità, contrappongono aspetti più tipici della demenza vs. depressione quali ad esempio:
insorgenza insidiosa/improvvisa
progressione lenta/rapida
consapevolezza assente/presente
disabilità sminuita/enfatizzata
comportamento congruo/incongruo
risposte assenti/globali
sintomi vegetativi assenti/presenti
rischio di suicidio basso/elevato.
Nella pratica impossibilità di discutere ciascuno di questi o altri aspetti è forse utile riflettere (per accettare o rigettare) un recente articolo (Ferris SH, 1999) che riporta il caso di suicidio in due pazienti, con malattia di Alzheimer probabile (DSM IV), partecipanti ad una sperimentazione clinica di fase 3, stadio iniziale di malattia, alto livello educazionale, insight preservato, consapevoli di scarsa risposta al trattamento farmacologico.
Il passaggio, nel nostro ipotetico percorso diagnostico, dai primi due punti (deficit della memoria e depressione) agli ultimi due (diagnosi di tipo e di sottotipo di demenza) suggerisce una pausa di riflessione. Certamente la diagnosi differenziale tra deficit della memoria in corso di invecchiamento e demenza da un lato, pseudodemenza depressiva e vera demenza dall'altro rappresentano aree controverse e problematiche, distinte linee di frontiera tra normalità/patologia, la prima, e tra psichico/organico, la seconda. Ripropongono paradigmi noti in medicina e, per la loro stessa natura, richiedono il massimo dell'attenzione e delle competenze. La loro posizione di confine richiede conoscenze adeguate e diffuse.
E' difficile immaginare una quantità e qualità di specialisti-esperti capaci di rispondere ad una crescente domanda di corrette diagnosi. Nel concreto contesto italiano inevitabilmente si ripropone la figura del medico di base e delle modalità operative con cui sintomi e disagi vengono percepiti, riconosciuti ed affrontati.
3. Tipo e sottotipo di demenza
Definita la presenza di un deterioramento cognitivo, rispettati i criteri per demenza (Tabella 1), il passo successivo ed inevitabile e quello della diagnosi eziologica (Tabella 5). E' l'area di intervento propria dello specialista-esperto, altamente motivato nel campo delle demenze, il cui unico limite è la disponibilità e l'accesso agli esami clinici, strumentali e di laboratorio necessari ad escludere confermare tipo e/o sottotipo di demenza. La complessità e le specializzazioni necessarie risultano, se confrontati con le precedenti problematiche, concettualmente più semplici.
Sulla base dei dati anamnestici, clinici, neuropsicologici, strumentali e di laboratorio si procede (laddove possibile nel rispetto di protocolli diagnostici e/o linee-guida) per esclusione, fino alla diagnosi di demenza degenerativa primaria, nell'ambito delle quali oggi sono riconoscibili distinte e specifiche entità nosologiche, definite da validati criteri clinici. Si rimanda, per questo argomento, alle trattazioni più specialistiche.
Più rilevante, in questa sede, è la constatazione della scarsa conoscenza e/o diversificazione, nel nostro territorio nazionale, della distribuzione di Centri o Servizi per la diagnosi e la cura delle demenze che, inevitabilmente, condiziona comportamenti diagnostici, terapeutici ed assistenziali fortemente differenziati. Se poi, dalla fase diagnostica, si passa ad esaminare la fase assistenziale le sperequazioni territoriali appaiono ancora più marcate; da livelli di eccellenza in regioni quali la Lombardia alla assenza di strutture assistenziali nelle regioni meridionali (home care).
Quanto tutto ciò possa pesare anche nella gestione della terapia farmacologica del paziente sarà specificatamente oggetto della seconda parte dell'articolo.
Bibliografia essenziale 1. Alzheimer problema sociale e della famiglia. Il Sole 24 Ore, 11-17 Maggio 1999. 2. American Psychiatric Association. DSM-IV Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Masson, Milano 1996 3. Trabucchi M. Le demenze. Utet, Milano, 1998. 4. Cummings JL Current perspectives in Alzheimer's disease. Neurology 1998; 51(Suppl 1). 5. McKhann G et al Clinical diagnosis of Alzheimer's disease. Neurology 1984; 34:939-944. 6. Harvey RJ A review and commentary on a sample of 15 UK guidelines for the drug treatment of Alzheimer's disease. Int J Geriatr Psychiatry 1999; 14(4):249-56. 7. Ferris SH et al Suicide in two patients with a diagnosis of probable Alzheimer disease. Alzheimer Dis Assoc Disord 1999; 13(2):88-90. 8. Censis Home Care per anziani. La mappa dell'offerta. Franco Angeli Editore, Milano, 1996