La disponibilità di nuovi dati sulle cure già in uso nella profilassi e nella terapia dell’osteoporosi e l’in troduzione sul mercato italiano di nuovi farmaci (raloxifene, risedronato), hanno fornito l’occasione per fare il punto sull’importante tema dell’osteoporosi e, soprattutto, sulle strategie finalizzate alla prevenzione della principale complicanza rappresentata delle fratture.
E’ importante ricordare che, nella pratica quotidiana, spesso “pazienti” asintomatici si sottopongono ad un esame densitometrico per screening oppure per sintomi che non sono dovuti alla demineralizzazione ossea come le artralgie. Appare quindi corretto attribuire al riscontro di un valore densitometrico patologico il carattere di fattore di rischio, più che di patologia vera e propria, con tutti i risvolti che ne conseguono sulle scelte da operare sul piano profilattico e/o terapeutico.
L'osteoporosi è "una patologia dello scheletro caratterizzata da una ridotta resistenza dell'osso che predispone la persona ad un aumentato rischio di frattura. La resistenza dell'osso si basa sull'integrazione tra la densità e la qualità dell'osso"1.
La riduzione della massa ossea si verifica in entrambi i sessi ma è maggiore nella donna a causa di un'accelerazione della perdita nei primi 3-5 anni dopo la menopausa. L'osteoporosi è di per sé asintomatica; i dolori come lombalgia/lombosciatalgia sono generalmente dovuti a fenomeni degenerativi osteo-artrosici1'2.
La prevenzione primaria e secondaria delle fratture legate all'osteoporosi
Ogni intervento nel paziente con osteoporosi ha come obiettivo concreto la prevenzione delle fratture.
In un'ottica di valutazione clinica, la frattura è l'end-point principale, mentre i dati mineralometrici, su cui si basa spesso la diagnosi di osteoporosi, devono essere considerati end points surrogati.
La prevenzione primaria delle fratture è rivolta all'individuo che ancora non ha registrato eventi, mentre in chi ha già subito fratture si deve parlare di prevenzione secondaria o di trattamento dellosteoporosi (v. note CUFY La profilassi farmacologica delle fratture da osteoporosi è giustificata in caso di:
- prevenzione primaria in persone ad alto rischio1-3
- prevenzione secondaria.
La prevenzione primaria delle fratture osteoporotiche: alimentazione e attività fisica
Un adeguato apporto di calcio con la dieta e abitudini di vita corrette rappresentano gli elementi cardine nella prevenzione primaria dell'osteoporosi1. L'assunzione di cibi a elevato contenuto di calcio è essenziale nell'adolescenza e nella età giovane-adulta al fine di ottenere un adeguato picco di massa ossea e quindi·" capitalizzare" per il futuro. Gli operatori sanitari a tutti i livelli, educazionali ed assistenziali, ma ancora di più gli insegnanti a scuola dovrebbero trasmettere questo importante messaggip. Ogni giovane o adulto dovrebbe introdurre con la dieta almeno 1 g di calcio al giorno4. Il fabbisogno aumenta con l'avanzare dell'età per cui dopo i 50 anni (dopo la menopausa nelle donne) si consigliano 1200 mg/die e, dopo i 65 anni, i National Institutes of Health statunitensi consigliano un apporto di almeno 1,5 g di calcio al giorno1. Studi affidabili hanno mostrato come, fino all'assunzione con la dieta di 2 g di calcio al giorno, non vi sia alcun problema poiché la formazione di calcoli renali solo raramente viene favorita dal calcio che si assume coi cibi5.
Il latte ed i latticini rappresentano le fonti dietetiche di calcio per eccellenza ma non dovrebbero essere consumati in forma di diete iperproteiche, che possono tradursi - al contrario - in uno stimolo alla demineralizzazione. Per ridurre l'apporto di calorie per gli obesi o per ridurre l'apporto di grassi per gli individui iperlipidemici è possibile l'utilizzo di latte scremato; per chi è intollerante al lattosio, è disponibile il latte trattato con lattasi. Una tazza di latte corrisponde a circa di 1/4 di litro e fornisce mediamente 250-300 mg di calcio; il contenuto in calcio dei formaggi è maggiore, ma non sempre altrettanto buono è l'assorbimento, che viene ostacolato dalla presenza di altri sali come i fosfati che troviamo nei vari latticini in proporzioni diverse. Tra le numerose varietà di formaggi va segnalato l'ottimo apporto di "calcio disponibile" dal formaggio grana/parmigiano, che è in grado di fornire oltre 1 g di calcio per etto di prodotto, in pratica quasi l'intera quantità necessaria in una giornata, (fornendo, però, la non trascurabile quota energetica di 380 Kcal) con rapporto calcio/fosfati relativamente vantaggioso rispetto alle altre varietà di formaggi.
Altri cibi ricchi di calcio sono alcuni pesci in scatola, in particolare lo sgombro. Il contenuto in calcio dei vegetali è sicuramente minore ma i fagioli, la soja, i radicchi, le noci e le cime di rapa presentano un discreto contenuto in calcio-disponibile, diversamente da altre verdure che cedono solo una modesta proporzione del loro contenuto minerale a causa della presenza di fitati in grado di chelare i minerali rendendoli inassorbibili. I cibi contenenti calcio non dovrebbero pertanto essere preceduti o accompagnati da dosi molto abbondanti di queste verdure (finocchi, insalata lattuga, erbette e spinaci) o di crusca che ne limiterebbero l'assorbimento; è anche per questo motivo che si consiglia solitamente di assumere gli integratori a base di calcio lontano dai pasti.
Il pane ed i cereali, pur essendo relativamente poco ricchi di calcio, ne sono comunque sorgenti importanti perché consumati quotidianamente e solitamente in cospicue quantità.
Il conseguimento di un adeguato apporto calcico è spesso difficilmente compatibile con le abitudini alimentari o col rispetto di diete ad apporto controllato di calorie o sodio, per cui risulta spesso utile la somministrazione di integratori contenenti calcio, specialmente negli anziani.
La seconda arma efficace per la prevenzione delle fratture da osteoporosi è l'esercizio fisico. Qualsiasi tipo di attività fisica, purché condotta con prudenza per non rischiare traumi, è raccomandabile a qualsiasi età ed i programmi di attività motoria sono in grado di conseguire buoni risultati sia sul versante della resistenza dell'osso che del tono muscolare e della efficienza articolare, requisiti utili per diminuire il rischio di cadute6. L'effetto protettivo dell'attività fisica non è limitato al distretto scheletrico coinvolto nell'esercizio.
Qualsiasi tipo di movimento attivo risulta utile in questo senso, soprattutto se svolto regolarmente, contribuendo a fornire uno stimolo meccanico all'osso ed a rinforzare l'apparato artro-muscolare riducendo in modo complessivo il rischio di fratture (e di cadute nell'anziano) anche a fronte di incrementi minimi della densità ossea, grazie a verosimili benefici sulla resistenza ossea1.
Consigli per il paziente
Anche se la protezione maggiore deriva dalle attività più impegnative, non è indispensabile "faticare" o sudare, basta muoversi. Camminare e muoversi all'aperto serve anche per garantire la produzione di vitamina D, particolarmente importante in persone che per il resto della giornata vivono in ambienti chiusi. Bastano semplici e varie attività quotidiane: un'ora nell'orto o in giardino, mezz'ora di passeggiata o di bicicletta, magari anche ballare.
Diagnosi di osteoporosi e valutazione del rischio di fratture osteoporotiche
Gli obiettivi di una valutazione dei pazienti a rischio di osteoporosi sono:
stimare il rischio di frattura;
confermare la diagnosi di osteoporosi sulla base della misurazione della massa ossea;
decidere se istituire un trattamento farmacologico1.
L'anamnesi e l'esame obiettivo sono essenziali per la valutazione del rischio di frattura e dovrebbero includere la stima di una riduzione dell'altezza corporea e/o di variazioni posturali1.
La misurazione della massa ossea con la densitometria ossea è l'esame strumentale più utilizzato; anche se permette di far diagnosi di osteoporosi, è soltanto uno degli strumenti che devono essere presi in considerazione per definire il rischio di frattura (che è dovuto, infatti, almeno per 1/3 alle caratteristiche individuali)1. L'OMS ha definito i parametri densitometrici per la diagnosi di osteoporosi mediante l'uso del T-score (rapporta il picco di massa ossea del soggetto a quello di una popolazione giovane e sana di riferimento; viene espresso come scarto o deviazione standard, DS). Esso va distinto dallo Z-score che esprime il risultato ottenuto in rapporto ai valori di una popolazione anziana di riferimento, che quindi ha già subito il rimaneggiamento osseo fisiologico.
La riduzione di 1 DS alla densitometria ossea fa aumentare il rischio individuale di frattura di circa 1,5-2,5 volte1una pregressa frattura vertebrale comporta un incremento di circa 4-5 volte del rischio di una seconda frattura sia vertebrale che non vertebrale2, mentre coloro che hanno sofferto di fratture multiple hanno un rischio aumentato fino a 12 volte8.
Per comprendere come la densitometria ossea rappresenti solo uno dei fattori di rischio per frattura, basta considerare come le donne nel più basso terzile della distribuzione dei valori densitometrici abbiano una incidenza di fratture pari a 2,6 per 1000 donne/anno rispetto ad una incidenza di 27,3 per 1000 donne/ anno in donne che presentino gli stessi valori densitometrici ma contemporaneamente 5 o più fattori di rischio1.
Gli indici di elevato turn-over minerale osseo (fosfatasi alcalina, osteocalcina sieriche, idrossiprolina, C- ed N- telopeptidi urinari etc.) non predicono il rischio di frattura, nè la perdita di massa ossea (non fornendo informazioni sulla durata dell'elevato turn-over) e pertanto non hanno alcun ruolo nella diagnostica dell'osteoporosi della pratica clinica1-3. Identificazione delle categorie a rischio di frattura: prerequisito essenziale per le decisioni diagnostiche e terapeutiche
Vi è oggi consenso unanime nell'affermare che la densitometria ossea non è consigliata come "screening" da applicare alla popolazione generale, alle donne in menopausa o agli anziani in genere a causa della bassa sensibilità dell'esame, in quanto circa metà delle fratture si verificano in pazienti in cui il test era risultato negativo1-4,9-13. L'esecuzione della densitometria ossea ha un ruolo nel processo decisionale nella misura in cui è in grado di influenzarne le scelte in funzione dei fattori di rischio.
Il massimo rischio di frattura è riscontrabile in soggetti che già hanno subito una frattura "spontaneamente" (ad esempio le deformità vertebrali) o in seguito a traumi minimi (come tossire o urtare contro un mobile nelle normali attività domestiche).
L'esame, quindi, è indicato nelle persone "a rischio elevato" di frattura"1,13, dove il riscontro di una bassa densità minerale ossea può portare ad una decisione terapeutica1,14,15.
Le terapie con corticosteroidi sistemici aumentano il rischio di fratture solo in caso di trattamenti protratti oltre 6 mesi e per dosi elevate (oltre i 7,5 mg di prednisone o equivalenti per le altre molecole). Non esistono sostanziali differenze tra l'effetto demineralizzante dei diversi steroidi: l'asserito effetto "bone-sparing" del deflazacort era in realtà da attribuirsi all'impiego di dosi non equivalenti sul piano antiinfiammatorio16,17. I trattamenti con steroidi topici per l'asma bronchiale o per dermatosi sono associati con una riduzione della densitometria ossea solo per alti dosaggi cumulativi, di impiego molto raro nella pratica corrente. Ad esempio un paziente di mezza età che abbia assunto per 7 anni 2000 mcg/die di beclometasone dipropionato per via inalatoria avrà valori densitometrici di i DS inferiori rispetto a un paziente che ne abbia assunto 200 mcg/ die per 1 anno18.
La somministrazione di Calcio (800-1200 mg/die) + vitamina D (400 UI/ die) o di bifosfonati è in grado di prevenire la perdita di massa ossea indotta dai corticosteroidi, ma non vi sono generalmente risultati significativi nella prevenzione delle fratture a 2 anni 19,20. Uno studio sull'impiego di 5 mg di risedronato in 518 pazienti sottoposti terapia steroidea sistemica, ha mostrato un effetto favorevole nella prevenzione di fratture sia vertebrali che non vertebrali21.
Quali strategie per la donna dopo la menopausa?
La menopausa è seguita da una fase in cui, oltre alla comparsa dei tipici sintomi da estrogeno-carenza, si verificano una perdita della protezione verso il rischio di patologia cardiovascolare ed una perdita del minerale osseo dapprima accelerata per 3-5 anni, quindi ad andamento lentamente ingravescente.
Il maggior numero di eventi (fratture osteoporotiche in genere) viene comunque registrato oltre i 70 anni, solitamente molto tempo dopo la riduzione dell'importanza dei sintomi menopausali, e di questo bisogna tener conto nella pianificazione di strategie diagnostiche, preventive o terapeutiche in una situazione clinica reale.
Nei primi anni dopo la menopausa
Il quadro clinico delle donne nei primi anni dopo la menopausa è dominato dai disturbi vasomotori e distrofici, mentre la perdita di massa ossea, pur rilevante è totalmente asintomatica, con incidenza di fratture trascurabile.
Se la donna in menopausa sceglie di seguire una terapia ormonale sostitutiva con estrogeni si rende inutile qualsiasi approfondimento ulteriore sullo status minerale osseo: la donna ha già optato per un trattamento riconosciuto efficace nella prevenzione della demineralizzazione e delle fratture a lungo termine.
Se la donna è indecisa o sceglie di non utilizzare estrogeni, è indicata una valutazione accurata sulla presenza di fattori di aumento del rischio per frattura e, se presenti, è giustificata l'esecuzione di una densitometria in sede vertebrale come supporto decisionale.
Il beneficio nella prevenzione secondaria di eventi cardiovascolari è stato sostenuto da numerosi studi osservazionali, sia di tipo caso-controllo che di coorte, anche quando valutati mediante metanalisi quantitativa22. I dati osservazionali non sono stati confermati dai risultati a 3 anni del primo studio randomizzato (HERS) estrogeni versus placebo nel quale l'incidenza di eventi cardiovascolari nei due gruppi è risultata sostanzialmente la stessa23.
I dati di un confronto internazionale mostrano i potenziali effetti degli estrogeni in differenti popolazioni geografiche evidenziando come, diversamente dalle donne anglosassoni, nelle popolazioni mediterranee il rischio di eventi cardiovascolari sia inferiore così che i potenziali rischi del trattamento a lungo termine superano i benefici attesi24.
Un discorso particolare meritano i dati preliminari dello studio HERS sulle fratture che non confermano l'effetto protettivo degli estrogeni sulle fratture nel medio periodo (3-4 anni)25 La mancata protezione potrebbe essere dovuta ad una troppo breve durata del tempo di osservazione.
Va sottolineato come lo studio fosse stato progettato in una popolazione di donne con fattori di rischio vascolare e non per osteoporosi, il che supporterebbe il concetto che i provvedimenti rimineralizzanti hanno maggior valore (e quindi dovrebbero essere preferibilmente utilizzati) in soggetti a rischio di frattura.
Alla terapia estrogenica protratta è associato un aumento del rischio di cancro mammario26.
Dopo anni di controversie, con pubblicazione di autorevoli studi con esiti contrastanti, l'analisi complessiva dei risultati disponibili depone per un limitato aumento del rischio correlato alla durata della terapia per periodi superiori a 5 anni27. Anche se l'evoluzione delle neoplasie scoperte negli studi in donne trattate con estrogeni sembra avere un andamento meno aggressivo28, questo incremento di una patologia pur sempre maligna, è un dato che non può essere trascurato nei trattamenti a lungo termine.
Per la somministrazione di estrogeni sono disponibili numerose formulazioni, orali e transdermiche (vedi tabella finale); deve essere comunque sottolineata la necessità di associare un progestinico (in dose ciclica o continuativa) nelle donne non isterectomizzate per minimizzare il rischio della stimolazione endometriale. Tra i progestinici il più sperimentato è il medrossiprogesterone acetato (MPA).
Il tibolone, estrogeno dotato di bassa attività sui recettori endometriali, non ha sufficienti dimostrazioni di efficacia nella profilassi delle fratture29.
In donne con sintomi menopausali modesti, che non intendano accettare i rischi degli estrogeni tradizionali sulla mammella e sull'endometrio30, può essere considerato il raloxifene (v. oltre) solo se presentano osteoporosi riconosciuta (frattura o T-score < -2,5 con fattori di rischio).
L'impiego dei bisfosfonati (v. oltre) non è stato adeguatamente sperimentato in donne al di sotto dei 60 anni.
Al di là dell'innegabile utilità degli estrogeni nel controllo dei sintomi legati alla menopausa, solo i risultati dei grandi studi randomizzati tuttora in corso potranno aiutare il medico pratico e la donna in queste difficili scelte.
Dopo i 60 anni, o quando i sintomi menopausali non sono più un disturbo importante
Se il primo periodo dopo la menopausa è dominato dai sintomi di estrogenocarenza ma presenta basso rischio di frattura, questo aumenta gradualmente col passare degli anni parallelamente all'aumento del rischio cardiovascolare. La massima incidenza delle fratture di femore nella donna si osserva all'età di 80 anni; l'effetto preventivo sul rischio di frattura non è più riscontrabile dopo 5 anni dalla sospensione della terapia ormonale31. E ragionevole, pertanto, porsi due interrogativi circa l'uso degli estrogeni (ai quali gli studi disponibili non possono ancora rispondere):
è giustificato prolungare la durata del trattamento oltre quanto raccomandabile, considerando il piccolo ma significativo aumento del rischio di cancro mammario che si accumula con l'uso della terapia estrogenica a lungo termine?
non sarebbe forse piùindicato proporre il trattamento ormonale in età più avanzata quando ill rischio di frattura è superiore?
Occorre ricordare, inoltre, l'incremento significativo di trombosi venosa profonda che può rendere problematico l'impiego di estrogeni in pazienti spesso costrette all'immobilità.
Nelle donne oltre i 60 anni sono poco frequenti le situazioni dove l'impiego sistemico degli estrogeni appare raccomandabile senza riserve.
L'introduzione del raloxifene, estrogeno ad azione selettiva sull'osso e sul versante metabolico, ha ampliato l'armamentario terapeutico nelle pazienti postmenopausali. Questo farmaco fa parte, assieme al tamoxifene, dei cosiddetti SERM (Selective Estrogen Receptor Modulator) ed è privo di effetti sfavorevoli sia sulla mammella che sull'endometrio. Allo stesso tempo, però, il raloxifene non attenua i sintomi neurovegetativi, le vampate e non migliora il trofismo dell'apparato genito-urinario.
Il raloxifene riduce del 2,2% il rischio di frattura vertebrale in prevenzione primaria (NNT=45 per 3 anni) e del 6,5% in prevenzione secondaria (NNT= 15 per 3 anni) ma non è ancora stato documentato un effetto sulle fratture non-vertebrali. L'impiego di raloxifene in prevenzione primaria (in donne non osteoporotiche) non trova al momento giustificazione32,33.
Il raloxifene potrebbe trovare una sua collocazione preferenziale nella prevenzione delle fratture ostoporotiche nelle donne prive di sintomi menopausali ad alto rischio di neoplasia mammaria (ad esempio anamnesi familiare positiva, storia pregressa). I risultati degli studi in corso potranno definire meglio gli effetti a lungo termine sulla prevenzione delle cardiopatie.
Il prodotto viene consigliato, alla dose di 60 mg al dì in un'unica dose serale, in donne con riconosciuta osteoporodi (frattura o T score< -2,5 con più fattori di rischio). E' importante sottolineare che il raloxifene :
non allevia eventuali sintomi della carenza estrogenica;
incrementa il rischio di trombosi venosa profonda;
i suoi effetti preventivi sulle fratture sono stati dimostrati -almeno per il momento- solo sul distretto vertebrale e non su quello scheletrico periferico.
Nelle donne che presentino fattori di rischio e bassi livelli di mineralizzazione ossea, soprattutto se abbiano già presentato fratture, può essere considerato un trattamento con bifosfonati. La documentazione clinica relativa a queste molecole, che non agiscono sui sintomi climaterici, riguarda soprattutto donne in menopausa avanzata oltre i 60 anni.
La somministrazione di 10 mg al giorno di alendronato è in grado di ridurre il rischio di frattura in donne in postmenopausa34,35: è necessario trattare 50 donne per 4 anni per prevenire una frattura non-vertebrale e 64 donne per evitare una frattura vertebrale. Il numero di donne da trattare diminuisce considerevolmente se si considerano le persone a più alto rischio (con bassi valori densitometrici o con storia di pregresse fratture) raggiungendo 15 per prevenire una frattura non-vertebrale e 37 per evitare una frattura vertebrale. La riduzione assoluta del 1,1% nel rischio di frattura di femore corrisponde a circa 90 donne da trattare in 3 anni per prevenire un evento.
L'assunzione del prodotto deve sempre essere effettuata a stomaco vuoto, seguita dall'ingestione di abbondanti liquidi (non latte!) e dal mantenimento della stazione eretta per almeno 30 minuti allo scopo di ridurre la documentata tossicità esofagea. La somministrazione orale ciclica di etidronato (400 mg/die per 14 giorni ogni 3 mesi), che ha minori effetti sfavorevoli sull'esofago, sembra fornire buoni risuitali anche se l'esperienza disponibile è minore rispetto a quella raccolta impiegando alendronato36.
L'impiego del clodronato intramuscolare, 100 mg ogni 14 giorni, non è consigliabile sia per l'esiguità dei dati a disposizione, sia per la notevole reazione dolorosa che ne abbatte la compliance nel lungo termine al 50%37.
L'introduzione del risedronato è supportata da studi che documentano principalmente gli effetti sulla mineralizzazione38. Il risedronato ha dimostrato di ridune le fratture di femore solo in donne anziane (70-80 anni) con osteoporosi grave già nota, definita tale da un T-score<-4 DS che presentino inoltre difficoltà di equilibrio e/o propensione alle cadute (RR 0,6, CI 0,4-0,9, NNT=77); mentre non ha effetto nelle donne anziane (di età superiore agli 80 anni) definite a rischio solo sulla base di un valore densitometrico patologico o di un fattore di rischio non scheletrico39.
E' necessario attendere le dimostrazioni di efficacia conclusive che potranno derivare da ulteriori studi cIinici in corso prima di poter introdurre i nuovi farmaci nella pratica clinica corrente.
La supplementazione di calcio nelle donne dopo la menopausa si è dimostrata efficace nella prevenzione della perdita di minerale dall'osso e, a lungo termine, nella riduzione delle fratture40. La somministrazione di 1,2 g di calcio e 20 mcg di vitamina D3 è stata in grado di prevenire una frattura di femore ogni 20 donne trattate per 3 anni; il numero di donne da trattare si riduceva a 14 considerando anche le fratture non-vertebrali41. Non sono disponibili sali di calcio solubili (es. calcio citrato) che vengono assorbiti meglio rispetto a quelli insolubili (calcio carbonato) che richiedono l'assunzione ai pasti per evitare la dispepsia.
La somministrazione di vitamina D3 (1.000 UI/die) si è dimostrata efficace nella riduzione della perdita minerale e delle fratture d'anca solo nei soggetti istituzionalizzati33.
Alcuni studi documentano benefici sui parametri mineralometrici con l'assunzione di calcitriolo che, in dose di 0,5 mcg al giorno, ha fornito risultati migliori nella prevenzione delle fratture rispetto alla sola supplementazione di calcio9. I dati sul caicitriolo e sugli altri metaboliti della vitamina D3 sono comunque controversi43.
Negli anni '80-'90 è stata molto usata la calcitonina spray44, oggi lo è molto meno. Gli studi ne documentano gli effetti sull'end-point surrogato della densità ossea a livello lombare, mentre l'effetto è molto meno chiaro sulla densità ossea misurata a livello femorale. Per quanto riguarda le fratture i risultati sono molto incerti: è disponibile un solo studio clinico controllato (studio PROOF) che ha mostrato una riduzione del rischio di fratture vertebrali con 200 UI/die di calcitonina di salmone in spray nasale, ma non con 100 o 400 UI/die45. L'assenza di un effetto dose-risposta, una percentuale di drop-out del 60% e la mancanza di un chiaro effetto sulla densità minerale ossea e sui markers, riducono fortemente la affidabiità dei dati riguardanti le fratture1. La tabella riporta le principali formulazioni disponibili in commercio per il trattamento dell'osteoporosi.
Osteoporosi nel maschio
La demineralizzazione ossea e l'aumentato rischio di frattura interessano anche il sesso maschile in proporzione diretta con l'aumentare dell'età. Il fenomeno comporta una graduale rarefazione ossea con progressivo incremento del rischio di frattura che diviene massimo attorno all'età di 80 anni.
Questo andamento fisiologico può essere accentuato da particolari malattie (osteoporosi secondaria) oppure in persone che non riconoscono alcun fattore di rischio particolare, se non - a volte - una predisposizione familiare (osteoporosi idiopatica del maschio).
Pur con l'inevitabile cautela, dovuta al fatto che esistono molti meno studi nel maschio che non nella femmina, si può ritenere indicata l'esecuzione di una densitometria ossea in caso di frattura patologica o di riscontro di rarefazione ossea in un radiogramma eseguito per altri motivi oppure per la presenza di fattori di rischio.
Se vengono escluse le possibili cause di demineralizzazione, viene posta diagnosi di osteoporosi "idiopatica" del maschio (od osteoporosi senile a seconda dell'età in cui si manifesta).
L'impiego di alendronato alla dose di 10 mg è finora l'unico trattamento rivelatosi efficace nella profilassi primaria o secondaria delle fratture in maschi a rischio46. Dal momento che la dimostrazione di efficacia è per ora basata su un solo studio di buona qualità, l'indicazione è stata inserita nella nota legislativa che ne ammette la prescrizione in fascia A solo per la profilassi secondaria in uomini con pregresse fratture vertebrali o del femore non dovute a traumi efficienti (nota n. 79). Va sottolineata anche nel maschio, l'importanza di un adeguato apporto di calcio, essendo le condizioni sperimentali di tutti gli studi basate su un supplemento regolare di almeno 500 mg di calcio per os.
Quanto dovrebbe durare la terapia?
In linea teorica la durata dei trattamenti dovrebbe essere protratta per lungo tempo. Attualmente il limite della durata consigliata per le terapie deriva non tanto da una cessazione dell'indicazione, quanto dalla relativa mancanza di esperienze (il follow-up di bifosfonati e raloxifene varia da 2 a 5 anni) o dalla incertezza circa i risultati (ad esempio la asserita perdita di efficacia dell'itidronato oltre i 3 anni di terapia) o i rischi derivanti dal protrarsi della cura oltre un certo limite "di sicurezza" intrinseco (5 anni per gli estrogeni) o di compliance.
Oltre tali limiti spetta al medico interagire con il paziente per valutare volta per volta il rapporto beneficio/rischio e fare scelte condivise.
Occorre verificare i risultati della terapia?
Gli interventi preventivi efficaci (dieta, supplementi di calcio, attività fisica) non richiedono di norma verifiche mineralometriche, soprattutto se condotti in persone altrimenti sane e prive di fattori di rischio.
I controlli densitometrici nei soggetti che seguono una terapia remineralizzante di provata efficacia non sono indicati1, ed in ogni caso non serve effettuarli prima di due anni sia a causa dell'elevato coefficiente di variabilità intrinseco alla metodica, sia perché è stato evidenziato come quei pazienti che nel breve periodo di un anno fornivano risultati "inferiori a quanto atteso", si allineavano poi all'andamento medio della popolazione nei controlli a più lungo termine (fenomeno noto come "regressione verso la media"), fornendo solo allora quei risultati strumentali di aumentata mineralizzazione che in controlli ravvicinati potevano essere giudicati insoddisf acenti, col rischio di interrompere una terapia magari efficace47.
Il monitoraggio densitometrico o laboratoristico di terapie efficaci è stato suggerito anche per migliorare la compliance del paziente a terapie estremamente lunghe, ma tale strategia non si è dimostrata efficace47.
Conclusioni
Lo scopo primario di prevenire, diagnosticare e trattare l'osteoporosi sta nella prevenzione delle fratture, favorite da una minore resistenza ossea, che si verificano in seguito a traumi modesti o spontaneamente e spesso in età avanzata. Il medico di famiglia non deve perdere di vista questo obiettivo.
La prevenzione primaria, se inizia precocemente e continua per tutta la vita, è l'arma più potente ed efficace a nostra disposizione; si incentra su abitudini di vita corrette, specialmente su una alimentazione ricca e varia e su una attività fisica anche modesta ma regolare, meglio se praticata all'aria aperta.
Nella popolazione anziana è di fondamentale importanza evitare le cadute che sono la principale causa delle fratture di femore in questa fascia di età.
Per le persone ad alto rischio, o per coloro che hanno già sofferto di una frattura osteoporotica, sono disponibili farmaci efficaci e tutte le strategie per trattare i singoli fattori di rischio modificabii o iatrogeni (profilassi secondaria).
Bibliografia
1. NIH Consensus Conference. Osteoporosis prevention, diagnosis, and therapy. JAMA 2001; 285:785-795 2. Australian National Consensus Conference 1996. Consensus statement. The prevention and management of osteoporosis. MJA 1997; 167:S1-S15. 3. Scient. Adv. Board Osteoporosis Society of Canada. Clinical Practice Guidelines far the diagnasis and management af osteoporosis. CMAJ 1996; 155: 1113-1129. 4. Cadogan J, Eastell R, Jones N, Barker ME. Milk intake and bone mineral acquisition in adolescent girls: randomised, cantrolled intervention trial. BMJ 1997; 315: 1255-60. 5. Coe FL, Parks JH, Favus MJ. Diet and calcium: the end of an era? Ann lnter Med 1997; 126: 553-555. 6. Zhang J, Feldblum PJ, Fortney JA Moderate physical activity and bone density among perimenopausal women.Am J Public Health 1992; 82: 736-738. 7. Burger H, van Daele PLA, Algra D, et al. Vertebral deformities as predictors of non-vertebral fractures. BMJ1994; 309: 991-992. 8. Ross D, Davis J, Epstein RS. Pre-existing fractures and bone mass predict vertebral fracture incidence in women. Ann Intern Med 1991; 114: 919-923. 9. Pocock NA, Culton NL, Harris ND. The potential effect on hip fracture incidence of mass screening far osteoporosis. MJA 1999;170: 486-488. 10. Jutta CJ. Corticosteroid-induced osteoporosis. Am J Hosp Pharm 1994; 51: 188-97 11. S.L.Greenspan, F.S.Greenspan. The effect of thyroid hormone on skeletal integrity. Ann Intern Med 1999;130: 750-758. 12. Valentine JF, Sninsky CA. Prevention and treatement of osteoporosis in patients with inflammatory bowel disease. Am J Gostroenterol 1999; 94: 878-833. 13. CeVEAS - A.O. - AUSL MODENA. Linee Guida per I' accesso alla densitometria ossea. 1999; pp.l-7. 14. Marshall D. Meta-analysis of how well measures of bone mineral density predict occurrence af osteoporotic fractures BMJ 1996; 312: 1254-1259. 15. Redational. Prevention des fractures de la femme agée. Rev Prescrire 1998; 18:291-297. 16. Lo Cascio V, Bonucci E, Imbimbo B. Bone loss after glucocorticoid therapy. Calcif Tissue lnt 1984; 36:435-438. 17. Krogsgaard MR , Thamsborg G, Lund B. Changes in bone mass during low dose corticosteroid treatment in patients with polymyalgia rheumatica: a dauble blind, prospective comparison between prednisolone and deflazacort. Ann Rheum Dis 1996; 55: 143-146. 18. Wang CA, Walsh LJ, Smith CJ, Wisniewski AF, Lewis SA, Hubbard R, Cawte S, Green DJ, Pringie M, Tattersfield AE lnhaled corticosteroid use and bone mineral density in patients with asthma. Lancet 2000; 355: 1399-1403. 19. Hamik J, Suarez Almazor ME, Shea B, Cranney A., Wells G, Tugwell P Calcium and vitamin D for corticosteroid-induced osteoporosis (Cochrane Review) The Cochrane Library 2000; 3. 20. Homik J, Cranney A, Shea B, Tugwell, Wells G, Adachi R, P Suarez Almazor M Bisphosphonates for steroid-induced osteoporosis (Cochrane Review) The Cochrane Library 2000; 3. 21. Wallach S, Cohen S, Reid DM, Hughes RA, Hoskimg DJ, Laan RF, Doherty SM, Maricic M, Rosen C, Brown J, Barton I, Chines AA. Effects of Risedronate treatment on bone density and vertebral fracture in patients on corticosteroid therapy. Calcif Tissue Int 2000; 67: 277-85. 22. Barrett-Connor E, Grady D. Hormone replacement therapy, heart disease, and other considerations. Ann Rev Public Health 1998; 19: 55-72. 23. HuIIey S, Grady D, Bush T, Furberg C, Henington D, Riggs B, Vittinghhoff E, for the HERS Research Group Randomised trial of Estrogen plus Progestin for secondary prevention of Coronary Heart Disewase in postmenopausal Women JAMA 1998; 250: 605-613. 24. Panico S, Galasso R, Celentano E, Ciardullo AV, Frova L, Capocaccia R, Trevisan M, Berrino E. Large-scale hormone replacement therapy and life expectancy. Am J Public Health 2000;90: 1397-1402. 25. Consultabili sul sito Internet: www.keeptrack.ucsf.edu/ hers2/HERSfindat.htm 26. Colditz GA, Hankinson SE, Hunter DJ Peto R Grady D The use of estrogens and progestins and the risk for breast cancer in postmenopausal women. N Engl J Med 1995; 332: 1589-1593. 27. Collaborative Group on Horrnonal Factors in Breast Cancer Breast Cancer and bormone replacement therapy: collaborative reanalysis of data from 51 epidemiological studies of 52705 women with breast cancer and 108411 wornen without breast cancer. Lancet 1997; 350: 1047-59. 28. Gapstur SS, Morrow M, Sellers TH. Hormone replacement therapy and risk of breast Cancer with a favorable histology Results of the lowa Women's Health study. JAMA 1999; 281: 2091-97. 29. Moore RA. Livial: a review of clinical studies. British Journal of Obstetrics and Gynaecology 1999; 106 Suppl 19:1-21. 30. Cummings SR, Eckert S, Krueger KA, Grady D, Powles TJ, Cauley JA, Norton L, Nickelsen I, Bjarnson NH, Morrow M. Lippman ME, Black D, Glusman JE, Costa A, Jordan VC The effects of Raloxifene on Risk of Breast cancer in postmenopausal women Results from the MORE randomized trial. JAMA 1999; 281: 2189-97. 31. Ettinger B, Grady D. The waning effect of post-menopausal estrogen therapy on osteoporosis. N Engl J Med1993; 329:1192-1193. 32. Khovidhukit W Shoback D Clinical effects of raloxifene hydrochloride in women. Ann Intern Med 1999; 130: 431439. 33. Ettinger B., Black DM, Mitlack B, Knickerbrocker RK, Nickelsen T, Genant HK, Christiansen C, Delmas PD, Zanchetta JR, Stakkestad J, Gluer K, Krueger K, Cohen F, Eckert S, Ensrud K, Avioli L, Ups P, Cummings SR for the MORE investigators Reduction of vertebral fracture risk in postmenopausal women wiyh osteoporosis treated with raloxifene. JAMA 1999; 282:637-645. 34. Hosking D, Chilvers CD, Christiansen C, Ravn P, Wasnich R, Ross P, Mcclung M, Balske A, Thompson D, Daley M, Yates AJ. Prevention of bone loss with alendronate in postmenopausal women under 60 years of age. N Engl J Med 1998; 338:485-92. 35. Ensrud KE, Black DM, Palermo L, Bauer DC, Connor EB, Quandt SA, Thompson DE, Karpf DB. Treatment with alendronate prevents fractures in women at highest risk. Arch Intern Med 1997;157:2617-2624. 36. Miller PD, Watts NB, Ucata AA, Harris ST, Genant HK, Wasnich RD, Ross PD, Jackson ED, Hoseyni MS, Schoenfeld SL, Chesnut CH. III. Cyclical etidronate in the treatment of postmenopausal osteoporosis: efficacy and safety after seven years of tratment. Am J Med1997; 103:468476. 37. Rossini M, Braga V, Gatti D, Gerardi D, Zamberlan N, Adami S. Intramuscular clodronate therapy in postmenopausal osteoporosis. I 1999; 24: 125-129. 38. Harris ST, Watts NB, Genant HK, McKeever CD, Hangartner T, Keller M, Chesnut CH, Brown J, Eriksen EF, Hoseyni MS, Axelrod DW, Miller PD. Effects of risedronate treatment on vertebral and non-vertebral fractures in women with postmenopausal osteoporosis: a randomized controlled trial. Vertebral Efficacy With Residronate Therapy (VERT) Study. JAMA 1999; 282: 1344-1352. 39. Michael R. McClung, Piet Geusens, Paul D. Miller, Hartmut Zippel, William G. Bensen, Christian Roux, Silvano Adami, Ignac Fogelman, Terrence Diamond, Richard Eastell, Pierre J. Meunier, Richard D. Wasnich, Mafia Greenwald, Jean-Marc Kaufman, Charles H. Chestnut III, Jean-Yves Reginster, for the Hip Intervention Program Study Group. Effect of Risedronate on the Risk of Hip Fraeture in Elderly Women. N Engl J Med 2001;344:33340. 40. Reid IR, Ames RW, Evans MC, Gamble GD, Sharpe SJ. Long-term effects of calcium supplementation on bone loss and fractures in postmenopausal women: randomized controlled trial. Am J Med 1995; 98: 331-335. 41. Chapuy MC, Arbot ME, Delmas PD, Meunier PJ Effects of calcium and cholecalciferol treatment for three years on hip fractures on elderly women. BMJ 1994; 308: 1081-82. 42. Tilyard MW Spears GFS, Thomson J, Dovey S Treatment of postmenopausal osteoporosis with calcitriol or calcium N Engl J Med 1992; 326: 357-362. 43. Marriott B.M,Vitamin D supplementation. A word of caution. Ann Intern Med 1997; 127:231-233. 44. Magrini N, Vaccheri A, Montanaro N. The Italian way of osteoporosis. Lancet 1992; 339: 499-500. 45. Chesnut CH, Silverman S, Andriano K, Genant H, Gimona A, Harns S, Kiel D, LeBoff M, Mancic M. Miller P, Moniz C, Peacock M, Richardson P, Watts N, Baylink D. A randormzed trial of nasal spray salmon calcitonin in postmenopausal women with established osteoporosis: the prevent recurrence of osteoporotic fractures study. PROOF Study Group. Am J Med 2000; 109: 267-76. 46. Orwoll ES, Ettinger M, Weiss S, Miler P, Kendler D,Graham J, Adarni S, Weber K, Lorenc R, Pietschmann P, Vandormael K, Lombardi A. Alendronate for the treatrnent of osteoporosis in men. NEngl J Med 2000; 343: 604-610. 47. Cummings SR, Palermo L, Browner W, Marcus R, Wallace R, Pearson J Blackwefl T, Eckert S, Black D. Monitoring osteoporosis therapy with bone densitometry: misleading changes and regression to the mean. Fraeture intervention Trial Research Group. JAMA 2000; 283:1318-1321.