Le richieste di informazioni sulla sicurezza dei vaccini giunte alla Redazione negli ultimi tempi sono state più frequenti rispetto al passato. Così, la risposta che si propone, oltre a puntualizzare alcun i aspetti specifici relativi ad alcune vaccinazioni, vuole essere una occasione per riflettere sul problema più ampio della comunicazione del rischio, che non si limita solo ai vaccini ma riguarda anche l'impiego dei farmaci e più in generale qualsiasi atto medico, nonché molti altri aspetti della nostra vita (come la recente vicenda della "mucca pazza" dimostra).
La consapevolezza dei grandi benefici in termini di salute ottenuti grazie alle vaccinazioni sembra lasciare spazio sempre maggiore al timore dei loro possibili effetti indesiderati e si assiste al paradosso che tanto più grandi sono i successi conseguiti da un vaccino e più aumentano le voci contrarie. Il timore, suscitato o alimentato dall'enfasi che alcuni eventi negativi ricevono dai mass-media, si è diffuso soprattutto fra la gente. Per molti anni confinati nell'ambito medico, gli effetti indesiderati dei vaccini sono sempre più spesso portati all'attenzione dell'opinione pubblica in modo eclatante e acritico. I dubbi che a volte trapelano dalle parole degli stessi medici, chiamati a dare una loro interpretazione dei fatti, alimenta il clima di incertezza. D'altra parte, negli ultimi tempi, i vaccini sono stati spesso oggetto di dibattito nella letteratura medica: l'ipotesi della comparsa di sindromi demielinizzanti come la sclerosi multipla in seguito alla somministrazione del vaccino antiepatite B, l'autismo e le malattie infiammatorie intestinali imputate alla vaccinazione antimorbillosa, l'esposizione al mercurio dovuta al thimerosal presente come conservante nei vaccini, sono solo alcuni esempi che hanno destato, a più riprese, l'interesse della comunità scientifica.
Il medico di base e il pediatra sono sicuramente i primi interlocutori a cui i genitori si rivolgono per esprimere i propri dubbi. E' importante perciò offrire risposte documentate e infondere tranquillità cercando di esprimere nel modo più semplice e comprensibile concetti difficili come il rapporto beneficio/rischio.
Il rischio di vaccini in prospettiva
Sul miglioramento della salute pubblica i vaccini hanno avuto un effetto paragonabile solo alla diffusione dell'acqua potabile. Neppure l'impiego degli antibiotici ha consentito risultati comparabili.
Quando malattie come poliomielite, difterite, morbillo mietevano centinaia di migliaia di vittime, erano pochi a ritenere che non valesse la pena correre
qualche rischio per ottenere i benefici assicurati dalle vaccinazioni.
Ora che molte malattie sono drasticamente diminuite, alcune addirittura scomparse, il rischio che si manifestino effetti indesiderati assume una prospettiva diversa: rispetto alla incidenza delle malattie che il vaccino previene, le possibili reazioni avverse vengono ad assumere un peso diverso rispetto al passato (vedi tabella 1 e figura 1), nonostante si siano ottenuti, nel corso degli anni, numerosi miglioramenti sotto il profilo della sicurezza: si sono resi disponibili infatti vaccini più sicuri (ad esempio il vaccino acellulare della pertosse che ha sostituito il vaccino antipertossico a cellule intere) e si sono modificate le modalità di somministrazione (ad esempio la vaccinazione antipolio utilizza ora per le prime due dosi il vaccino inattivato IPV per ridurre la frequenza di paralisi flaccida da vaccino).
Focalizzando tuttavia l'attenzione sui possibili effetti indesiderati, si corre il rischio di dimenticare cosa si sia ottenuto grazie alle pratiche vaccinali.
Effetti indesiderati: nesso di casualità o coincidenza?
Le vaccinazioni sono fra gli interventi sanitari più importanti per la salute pubblica. Dal momento che i vaccini vengono somministrati a milioni di individui sani, solitamente bambini, lo standard di sicurezza richiesto è molto elevato. Ciononostante, come tutti i gli atti medici, anche le vaccinazioni mantengono una percentuale seppur minima di rischio.
Poiché la vaccinazione è un momento nella storia sanitaria di un soggetto che rimane ben impresso nella memoria (o, se si tratta di bambini, nella memoria dei genitori), qualsiasi evento che accada in un lasso di tempo ragionevolmente prossimo viene facilmente attribuito al vaccino, anche se fra i due eventi non esiste alcun nesso causale e si tratta di una pura coincidenza.
In generale, è più facile scambiare una semplice sequenza temporale per un rapporto di causa-effetto quando la causa di una determinata malattia è sconosciuta. In questo caso può capitare che la comparsa della malattia o il suo aggravamento vengano messi in relazione alla somministrazione di un vaccino. A questo proposito due esempi significativi: il ruolo della vaccinazione antiepatite B nella patogenesi della sclerosi multipla e quello della vaccinazione MMR e la comparsa di autismo. Nel primo caso, poiché nella patogenesi della sclerosi multipla vi è una componente immunologica non ben conosciuta, era stato ipotizzato che una sostanza, come appunto un vaccino, la cui funzione è quella di stimolare il sistema immunitario, potesse innescare una risposta paradossa in grado di indurre la malattia. Del tutto recentemente studi importanti e ben condotti hanno però dimostrato che non esiste correlazione fra la somministrazione del vaccino e la comparsa di sclerosi multipla e che i vaccini antiepatite B, antinfluenzale e antitetanico non provocano esacerbazioni del decorso clinico della malattia. Nel secondo caso, l'ipotesi di un legame causale fra autismo e vaccinazione MMR era stata avanzata da alcuni ricercatori in base all'osservazione di un aumento, in Inghilterrra, dell'incidenza complessiva dei casi di autismo negli ultimi due decenni, dopo l'introduzione del vaccino MMR. La pubblicazione recente di una analisi dell'andamento dei casi di malattia in coorti di bambini dai 2 ai 12 anni in relazione alla copertura vaccinale, dal 1988 al 1999, ha dimostrato che non esiste alcuna correlazione causale: i casi di autismo infatti sono aumentati nonostante la copertura vaccinale per coorti di età sia rimasta costante nel corso degli anni (figura 2). Vale la pena anche di ricordare che, fra 1999 e il 2000, per il diffondersi del timore di un legame causale fra la somministrazione del vaccino MMR e autismo, e il conseguente abbassamento della copertura vaccinale (sotto l'80%), si è avuta una epidemia di morbillo (1220 casi e 2 morti) in Irlanda, a partenza da Dublino, mentre in Olanda un epidemia, a partenza da studenti non vaccinati di una scuola religiosa, ha coinvolto 2961 bambini con 3 casi di morte.
Nel caso delle vaccinazioni dell'infanzia, poi, le false attribuzioni possono essere legate al fatto che molti problemi del bambino si manifestano solitamente nei primi anni di vita cioè proprio il periodo in cui viene somministrata la maggior parte dei vaccini.
In realtà, per ritenere che una reazione avversa sia indotta da un vaccino occorrono dati epidemiologici o clinici certi che evidenzino una diversa incidenza di un particolare evento o di una determinata sindrome nelle persone vaccinate rispetto a quelle non vaccinate. Per i limiti metodologici insiti negli studi epidemiologici, occorre inoltre che, per stabilire un nesso di causalità, si tenga conto della plausibilità biologica, della coerenza, della forza e della specificità dell'associazione.
Il grande impegno della ricerca scientifica consiste perciò nel cercare di distinguere gli effetti indesiderati reali dagli eventi casuali che, incidentalmente vengono evidenziati con una concomitanza temporale.
Così, ad esempio, il sospetto che la somministrazione del vaccino contro l'Haemophilus influenzae potesse indurre la comparsa di diabete mellito in soggetti suscettibili, ha portato immunologi, diabetologi ed epidemiologi appartenenti a diverse istituzioni (OMS, Centers for Disease Control, Department of Health, National Institute of Allergy and Infectious Disease degli Stati Uniti) a discutere in un workshop sui dati emersi: la conclusione è stata che nulla fa propendere per un nesso causale fra la vaccinazione e la comparsa della malattia.
Spesso, tuttavia, i risultati degli studi che smentiscono un sospetto non ottengono la stessa risonanza del dato originale e il pubblico così non riceve una informazione bilanciata. L'articolo pubblicato qualche anno fa su Lancet che suggeriva una associazione fra la vaccinazione antimorbillosa e la malattia infiammatoria intestinale è stato seguito dalla pubblicazione di 6 lettere all'editore che hanno messo in evidenza difetti metodologici dello studio. Puntualmente la stampa ha segnalato al pubblico l'articolo originale ma nessun riferimento è poi seguito in merito alle lettere e ai legittimi dubbi da esse sollevati.
Il parere della comunità scientifica su questo punto è concorde: è tempo di pensare seriamente alle conseguenze di questo modo di fare e alla progressiva sfiducia che il pubblico comincia a nutrire nei confronti delle vaccinazioni.
Come comunicare il rischio
Mentre un farmaco viene impiegato per migliorare lo stato di salute e per questo scopo il paziente è disposto a correre qualche rischio, il vaccino viene somministrato ad una persona sana per mantenerla in buona salute: l'assenza di malattia rende molto meno disponibili ad accettare il rischio.
Il rapporto beneficio/rischio di un vaccino è espresso molto bene dal cosiddetto "effetto piramide". La base della piramide rappresenta il beneficio che deriva alla gran parte della popolazione dall'uso di un vaccino. L'apice rappresenta il rischio che si manifesti un effetto indesiderato: coinvolge pochissimi soggetti rispetto la maggioranza degli individui che ne trae vantaggi. A differenza di questi ultimi tuttavia, che, pur senza rendersene conto, condividono un beneficio enorme, chi subisce un danno lo vive in prima persona e l'eco giunge all'opinione pubblica in modo del tutto sbilanciato. Informare correttamente senza allarmare è la parte più difficile della comunicazione del rischio. Come già ricordato in un precedente articolo, il rischio è parte integrante di qualsiasi atto medico ed è giusto che il paziente ne venga messo al corrente. Dare alla gente l'idea di quanto un rischio sia grande o piccolo è però molto difficile: molte persone non hanno alcuna confidenza con i numeri e i termini matematici (es. un caso su 100.000 o una probabilità su un milione) utilizzati per esprimere il rischio non hanno per loro alcun significato preciso.
Gli aspetti che caratterizzano il rischio sono la probabilità, la gravità e la durata; ognuno di questi aspetti può pesare diversamente sulla percezione che le persone hanno del rischio legato ad una determinata vaccinazione e ognuno va chiarito: ad esempio la probabilità che la somministrazione di un vaccino provochi dolore nel punto di iniezione è molto alta ma si tratta di un effetto indesiderato lieve (gravità) e transitorio (durata).
Probabilmente, il modo in cui le persone valutano la sicurezza dei vaccini non può essere disgiunto dal contesto culturale in cui vivono così come il loro atteggiamento nei confronti dei rischi. Il rifiuto della vaccinazione è spesso dovuto a convinzioni personali che nulla hanno a che fare con la scienza.
La percezione del rischio, inoltre, è diversa se il rischio lo si corre volontariamente o se viene imposto: le persone sono disposte ad accettare senza problemi livelli di rischio molto alti come quelli legati al fumo o alla guida dell'auto o alla pratica di certi sport, ma non accettano rischi molto inferiori legati ad interventi che vengono loro imposti, come appunto alcune vaccinazioni. Così, generalmente, si teme molto di più, perché poco conosciuto, un rischio molto remoto come il morso di una vipera, rispetto ad un rischio ben noto e molto più concreto come le complicazioni di una influenza. Molte persone tendono a sovrastimare la frequenza di eventi molto rari, come gli effetti indesiderati di una vaccinazione, e a sottostimare la frequenza di eventi molto più comuni come ad esempio gli incidenti d'auto. Infine, la percezione del rischio è diversa se il rischio riguarda un adulto, che si sottopone volontariamente ad una
vaccinazione, o un bambino, della cui salute devono decidere i genitori.
Anche il modo in cui si comunica il rischio legato ad un intervento medico può influenzare la decisione. Dicendo che un determinato intervento può avere il 95% di probabilità successo o il 5% di probabilità di insuccesso si esprime lo stesso risultato: entrambe le espressioni possono rispecchiare la realtà, ma vengono recepite in modo diverso. Applicando questo concetto ai vaccini, non ha lo stesso impatto ribadire quante vite un vaccino ha salvato o quanti sono morti per la sua inefficacia.
Di tutti questi aspetti occorre tener conto quando si affronta con la gente il problema della sicurezza dei vaccini. Conoscere e capire la vera entità del rischio a cui ci si espone, o si espone il proprio figlio, rappresenta nella maggior parte dei casi il primo passo per una decisione consapevole. (Alcuni suggerimenti per esprimere il rischio in modo più comprensibile si possono trovare in un precedente articolo del bollettino).
Conclusioni
Grazie al successo dei vaccini, i genitori di oggi difficilmente sono testimoni di malattie che un tempo hanno mietuto molte vittime, il che induce una percezione non reale del rischio di malattia. Ad esempio la vaccinazione contro il morbillo, la rosolia e la parotite ha ridotto drasticamente la mortalità, i casi di encefalite, di PESS (Panencefalite Sclerosante Subacuta) e fetopatia rubeolica, ma i genitori, non avendo testimonianza della gravità delle malattie che la somministrazione del vaccino ha scongiurato, non riescono a comprendere l'importanza di proteggere i loro figli nei confronti di queste stesse malattie. La vaccinazione appare allora una inutile esposizione a possibili effetti indesiderati a volte anche gravi.
Nella società, tuttavia, i bambini che non ricevono le vaccinazioni vengono protetti dall'immunità di quelli che sono vaccinati. Vaccinando un bambino si contribuisce a proteggere anche i bambini per i quali i vaccini sono controindicati o nei quali risultano inefficaci. Il rifiuto della vaccinazione può essere visto perciò come una di violazione di questa sorta di contratto sociale: i bambini non vaccinati, pur condividendo i benefici di una vaccinazione collettiva, non si assumono alcun rischio, benché minimo esso sia.
Sfortunatamente, sebbene il rischio di una reazione avversa grave e invalidante sia estremamente più basso del rischio di complicanze della malattia che quel vaccino è destinato a prevenire, è proprio la comparsa di una reazione avversa (sia che sia realmente legata al vaccino che non lo sia), che spesso riceve più attenzione dai mass media.
La possibilità di reperire, e di far circolare, attraverso Internet qualsiasi informazione, più o meno validata, ha dato un ulteriore importante contributo alla diffusione dell'atteggiamento di sfiducia della gente, alla cui base è possibile che vi sia però anche l'errore strategico di banalizzare l'aspetto degli effetti indesiderati dei vaccini.
Nonostante l'influenza dalle informazioni che riceve da varie fonti, ogni genitore ripone comunque molta fiducia nel proprio medico o pediatra: un parere motivato e spiegazioni comprensibili ed esaurienti possono facilitare una decisione che tenga conto sia dell'interesse del singolo bambino che della collettività.
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Si ringrazia la Dott.ssa Luisella Grandori per i suggerimenti ricevuti.