Premessa
Questa riflessione è un po' un gioco di echi. Anzitutto, e principalmente, di quanto si è sviluppato, in una discussione molto aperta e produttiva, nella giornata dedicata all'informazione sui farmaci ed ai suoi diversi strumenti, cercando insieme risposte alle tante domande a suo tempo anticipate su queste pagine1. La giornata a sua volta è stata ovviamente cassa di risonanze, interpretazioni, implicazioni di quanto nel mondo dell'informazione succede con intensità-coerenza sempre maggiori, in Italia e a livello internazionale.
Forse per il fatto di essere sintonizzati in modo più permanente sui temi dell'incontro, che si è svolto a Reggio Emilia il 6/11, in vista della redazione di un documento cui ci si è impegnati, l'esercizio di eco si è esteso al contesto più ampio della società, che è dove, di fatto, si decide il senso dell'informazione, incontrando là anche la proposta del titolo: un gioco delle "i", che si spera non risulti troppo banale.
Promemoria
Il punto di partenza coincide in un certo senso con il riassunto di quanto si può ritenere acquisito nel settore che ci interessa:
La disponibilità dell'informazione sui farmaci non è più un problema: la si può incontrare-comprare-scaricare nel grande supermercato comunicativo nel quale si vive 24 ore su 24 e per 365 giorni.
E' divenuta proporzionalmente più incerta una vecchia qualità (o pretesa?) dell'informazione: l'indipendenza, intesa come quel "quid" che garantisce una coerenza tra realtà da comunicare, e sua traduzione-comunicazione. L'elemento di novità in questa incertezza sono le sue radici: i vizi di "indipendenza" sono già nella produzione dei dati su cui le informazioni si devono articolare2,3.
La letteratura "internazionale" è sempre più espressione del mercato globale informativo, più che della affidabilità dell'informazione scientifica. La vecchia regola era che ciò che era prodotto in inglese, lingua scientifica ed imperiale, era d.o.c., indipendente-protetto. Le regole del mercato informativo prevedono infatti che i singoli prodotti debbano essere "formalmente" d.o.c., perché non si metta in discussione la logica generale del sistema, che rende sempre più difficile "scegliere"/discernere la sostanza qualitativa dell'inflazione quantitativa.
Il supermercato informativo stabilisce infatti regole di produzione formalmente corrette, perché le merci non abbiano frontiere di circolazione-accessibilità. E' rigorosamente sconsigliato tuttavia porre domande od evocare sospetti sul costo/beneficio complessivo. Le industrie-imprese4, sotto qualsiasi cielo e per qualsiasi prodotto, si riconoscono in, e rassicurano con, le sigle imprescindibili (ancor più suggestive nella loro sintetica intraduzione inglese) di GCP, ICH, EBM, NNT e via via le coorti di indicatori/indici/score quanti-qualitativi.
L'informatica, in versioni sempre più "friendly", tende a presentarsi - nella realtà e ancor più nell'immaginario - come l'espressione fruibile (più a fondo: come la sostituzione) dell'informazione. Ai "naviganti" è assicurato il superamento di ogni forma di ignoranza linguistica, informativa, e, ancor di più, di impotenza operativa.
Un gioco-indicatore
La discussione (certo molto particolaristica, rispetto ai grandi scenari evocati!) sulle prospettive di informazione sui farmaci si è trovata immersa in due grandi campagne informative: quella che da mesi sta abituando insensibilmente - onde efficacemente - l'opinione pubblica al fatto che in politica non contano le scelte, ma la loro vendita per immagini; quella (ovviamente intrecciata con, ma insieme "altra", dalla precedente) sulla riforma della scuola, i suoi contenuti, la organizzazione, l'autonomia, la capacità di formare generazioni competenti-competitive per la nuova società globale. Caratteristica comune (curiosa? o esemplare?) delle due campagne è la rigorosa assenza di attenzione a ciò che capita nella storia, geografia del mondo "grande", globale o internazionale come si preferisce chiamarlo, in cui la società italiana vive (oggi e, evidentemente ancor di più, nel futuro).
Dobbiamo alle "raffinatezze" pubblicistiche di queste campagne di immagini la proposta del gioco delle "i". In uno dei grandi manifesti che evocano lo sguardo onnipresente di un grande-fratello molto piccolo, il futuro nella/della scuola è assicurato da una triade di "i" vincente, compatta: inglese, internet, impresa.
La non-autorevolezza della fonte da cui origina la proposta non la rende meno interessante, importante, informativa: riassume infatti come un vero e proprio indicatore i termini, impliciti ed espliciti, di una concezione e di una rappresentazione del mondo (dei suoi obiettivi e dei suoi criteri di riferimento) che non sembra appartenere certo ad una sola parte politica (e di cui d'altra parte importa qui principalmente la valenza sul versante informativo). Basta provare a rileggere alla luce delle tre "i" (con la folgorante confluenza delle prime due nella terza) le cose, ipernote, dette nel promemoria (magari provando a mettere di fila, proprio come in un gioco, i tanti sostantivi ed aggettivi scelti per la loro "i" iniziale), per trovarsi in una trama di incroci che definiscono veri e propri percorsi obbligati, con i loro semafori ed i loro sensi unici. Ci si trova ad avere della realtà in cui ci si muove una immagine pre-determinata; sulla quale è sempre più difficile discutere, dissentire, dissociarsi, semplicemente perché i contrasti sono manifestamente finti, e le differenze sono state smussate-riassorbite-predigerite.
Le tre "i" che sintetizzano il gioco, e lo propongono fin dalla scuola, rendono competitivi per un mondo dove la conoscenza coincide con le "istruzioni per l'uso", e l' "i" dell'intelligenza è sempre più ricondotta alla capacità di imporsi in una delle aree "new", dove la virtualità e l'immagine dettano, sono, le regole del gioco.
Per un uso libero di tutte le lettere dell'alfabeto
Non ha evidentemente senso - e non vale proprio la pena - fare del gioco delle "i" l'ennesimo motivo per un esercizio di rimpianti-recriminazioni.
Sperando che sullo scenario più vasto della politica e della società il gioco delle "i" non pesi troppo, e prendendo però sul serio la riflessione sull'informazione da cui si è partiti, può essere utile leggere le tre i come un indicatore e provare un percorso di parole (senza/con "i"), che si ritengono oggi molto concretamente imprescindibili per lavorare da non-dipendenti attorno-su-con l'indicatore-farmaco.
L'ipotesi generale infatti è che nell'informazione sui farmaci l'affidabilità, la qualità, la pertinenza, l'attualità devono essere misurate tenendo conto, sempre di più, di parole di cui non è mai possibile una definizione a priori e la cui "evidenza" è ogni volta frutto di un percorso, non sempre lineare, di verifiche sostanziali e non formali. Non è così strano che queste stesse parole possano evocare od apparire pertinenti anche per il campo della scuola, e della politica: in fondo è proprio questo il ruolo degli indicatori.
Storia potrebbe essere la prima di queste parole:
per non pensare mai a farmaci-trattamenti-novità come a merci informative il cui passato, ed il cui futuro (il loro uso, il loro significato) è neutro, proporzionale-funzionale principalmente alla loro componente scientifica;
per lavorare "criticamente": per ricordarsi cioè, e documentarsi in modo rigoroso, sul come la cinetica e la dinamica dei farmaci (non quelle biologiche, in fondo semplici, ma quelle che ne regolano la distribuzione, il metabolismo, gli effetti nella società) sono cioè, fortemente in trecciate con quelle dell'economia, della salute pubblica, degli interessi, dell'etica;
per sapere perciò che la vita dei farmaci è - come la storia - ambigua;
per contribuire a far sì che l'informazione sia formazione permanente alla gestione dell'ambiguità in modo positivo, sbilanciati solo a favore dei diritti dei pazienti, che sono da cercare-proteggere-documentare, non da dichiarare rispettati dall' "intenzione di trattare".
Geografia è, obbligatoriamente e complementariamente, la seconda parola. Abituarsi a "vedere" che la mappa dello sviluppo e dell'uso dei farmaci coincide sempre più, e definisce con criteri rigorosi, le frontiere dei poteri e dei [non]-diritti, e continua a sfavorire coloro che più hanno bisogni, garantendo loro meno risposte. Come insegna la "epidemiologia globale", la geografia è scienza complessa quando include nelle sue variabili gli "umani", con le loro stratificazioni di "rischi di vita" (di cui quelli qualificabili con termini medici sono una componente, ma non centrale).
Popolazioni è la parola che viene spontanea alla mente quando ci si trova in scenari che hanno una storia e una geografia. L'avventura-ricerca informativa diventa ancor più interessante, e si differenzia in risposte, proposte, domande totalmente aperte. La variabilità dei singoli e dei gruppi deve fare i conti con gli "intervalli di confidenza" dei messaggi generali. L'incertezza-ignoranza-malafede-intelligenza-competenza si mescolano nello scambio tra medico e paziente, medici e società, sistemi sanitari e leggi di mercato. Informare su/per/a partire da/verificando con popolazioni (che sono fatte da persone molto personali) non è solo un obiettivo moderno del marketing farmaceutico. Dovrebbe essere, soprattutto, un progetto permanente ed intensivo di ricerca, non tanto di coloro che lavorano nel campo dell'informazione, ma specificamente di tutti quelli che usano-prescrivono i farmaci. E' qui che si gioca infatti la credibilità-affidabilità-compliance-trasferibilità-accessibilità, oggettiva ed individualizzata, della conoscenza.
Le popolazioni comandano un coinvolgimento nell'informazione che è:
complessivo e collaborativo: esige cioè gruppi di produttori fortemente integrati con utilizzatori di informazioni;
permanente-obbligatorio, fa parte del formarsi e dell'agire: non è esercizio occasionale;
in forte continuità con la ricerca epidemiologica che documenta se e quanto le "evidenze" arrivano a coloro che più ne hanno bisogno.
Si può a questo punto ri-incontrare una parola con "i", per proporre (dando per acquisito quel tanto di inglese utile ad essere navigatori pensanti dell'universo informativo) di dare una priorità seria all'italiano. Non è una battuta fatta per chiudere un percorso già troppo lungo. L'informazione medica è ancora, largamente, un problema-linguaggio che oscilla tra l'esoterico e la propaganda, che dice una cosa all'interno dell'universo sanitario e un'altra alla società, che parla del vivere-morire-sperimentare-guarire-sperare-disperare in lingue e secondo logiche che non favoriscono l'autonomia, ma la dipendenza. L'indicatore-informativo farmaco può, o forse deve, essere il campo privilegiato in cui l'informazione parla "italiano": si fa cioè cultura quotidiana di popolazioni concrete, strumento di dialogo e di scelte reali, di tutti. A meno che, evidentemente, non si accetti, dentro e fuori le professioni sanitarie o dei "talk-show", lo pseudo-italiano delle 3 i, assolutamente funzionale al ruolo di "clienti esigenti", che giustifica anche il progressivo concentrarsi dell'attenzione informativa - webs, portali, chatlines -sui cittadini. Per renderli più liberi?
Bibliografia 1. Tognoni G. Bollettini che compiono gli anni: un invito per ottobre 2000. Informazioni sui Farmaci 2000; 24: 29. 2. AngelI M. Is academic medicine for sale? New Engl J Med 2000: 342:1516. 3. Tognoni G. conflitti tra finalità di ricerca e finalità di assistenza. In: Edizioni CIDAS, eds. I conflitti di interesse in medicina. L'Arco di Giano, rivista di medical humanities, 2000 (23):61-69. 4. Hassan F. CEO. Pharmacia Corporation, USA. Being a modem pharmaceutical company. Firenze. Lecture CPT 2000.