Il titolo è quasi obbligato per introdurre, con un minimo di continuità, un numero di IsF che include:
a) il compleanno di uno dei più significativi eventi della storia moderna del farmaco: i 40 anni della pubblicazione del rapporto dell’OMS, che nel 1977 aveva introdotto, come chiave fondamentale di lettura e comprensione della rilevanza di salute pubblica dei farmaci, un termine rigorosamente non farmacologico, né scientifico come “essenziale”: per indicare una metodologia ed un’ipotesi di lavoro, prima e più a fondo di una lista di farmaci;
b) un compleanno tutto diverso, per anzianità e tipo di evento festeggiato: i 200 anni di un quadro clinico, che si sarebbe poi trasformato in una malattia come il Parkinson, che continua dopo tanto tempo a porre domande ed a cercare-proporre risposte;
c) un non-compleanno, come nel mondo di Alice: che propone di guardare ad ognuno dei giorni, dei contesti delle storie che la pratica medica incontra, come ad una nascita-generazione-memoria di conoscenza e di senso, attraverso gli incroci dei tanti e diversi dati, scientifici o meno, di farmaci e di malattia, ma soprattutto di vita, di cui sono portatrici le persone.
Fiduciosi - con il disincanto d’obbligo - del fatto che la curiosità di sapere che filo possa tenere insieme tre tanto diversi compleanni induca a leggere i testi che li raccontano, se ne propone con l’editoriale una lettura: non come una “direttiva”, ma con tutta la fantasia e la libertà con cui si può ricevere un invito a partecipare a feste di compleanno tra conoscenti di vecchia data.
Per celebrare – comprendere il primo compleanno non si poteva sperare in una presenza più appropriata, e più specificamente rappresentativa per IsF. L’intervista a Nicola Magrini – attuale responsabile della politica farmaceutica dell’OMS – è lucida, completa, a livello culturale e politico, non solo per gli aspetti più strettamente tecnici.
Le tematiche trattate non sono nuove per IsF: l’importanza è quella di ritrovarle nel loro quadro “globale”, nella “grande” storia. Con la doppia - complementare implicazione:
a) di sapere che nulla è più comprensibile ora − 40 anni sono tanti! − come un problema con confini rigorosamente pre-definibili o secondo gerarchie ben stabilite in termini di “valori”;
b) di essere coscienti che ai “principi” della scelta dei farmaci, si sono aggiunte in modo profondamente conflittivo condizioni operative di produzione, distribuzione, accessibilità che rendono i farmaci sempre meno strumento “essenziale” di salute pubblica per tutte/i, e sempre più indicatori-produttori di diseguaglianze nell’accesso al diritto essenziale alla salute. Non solo per problemi di costo: più generalmente per logiche e politiche che dichiarano “essenziale”, cioè diritto, solo ciò che è economicamente “sostenibile”.
“Salute per tutti” era il motto al tempo della nascita dei farmaci essenziali; “che nessuno sia lasciato indietro”, è il mantra di oggi: ripetuto con ossessività, a capire, con parole suggestive che “raccomandano”, la realtà concreta che sempre più si adatta alla “constatazione” che tutti i rischi appartengono alle classi più disagiate, alle quali sono riservate le risorse meno adeguate.
Compleanno importante: lavorare sul/nel campo dei farmaci coincide con l’essere attori nello scenario di una sfida che vede nella “sanità” la parabola della società. È “essenziale” saperlo, per non cadere mai nella trappola di pensare che si possa “razionalizzare” un comparto (i farmaci) se, per comodo o programmaticamente, se ne ignorano gli “attori principali”.
Il compleanno più antico racconta quanto è diversa − come tempi, ritmi, conquiste, cambiamenti − la storia di una malattia e della sua conoscenza. Le prime − ed ancora oggi fondamentali − medicine essenziali per il Parkinson erano nate, come una delle prime fondamentali “scoperte” a livello cerebrale, proprio pochi anni prima la lista dei farmaci essenziali ( … quasi 150 dopo la scoperta della malattia). Il contesto di cura − la combinazione di farmaci e la ricerca di una autonomia che vada al di là del controllo dei sintomi − è rimasto lo stesso, pur con conoscenze e tecnologie che permettono interventi più avanzati e diversificati. Le “raccomandazioni” recenti (da cui parte il contributo) sembrano infatti rimandare ad uno scenario simile a quello del primo compleanno: i “principi” sono sempre più chiari. Diventa sempre più incomprensibile (o coerente?) la distanza tra ciò che si sa e si dovrebbe fare, e ciò che si fa, si monitorizza, si traduce in un beneficio “accessibile a costi contenuti alla maggioranza”, cioè a tutte/i le/i portatrici/portatori di bisogni. L’epidemiologia orientata alla salute pubblica che rende visibili e da gestire i problemi rimane ancora (seconda parte del contributo) "un'ospite”, più che una protagonista della cura. Leggere, oggi, Oliver Sacks? Fino all’ultimo suo “risveglio”?1
Il non-compleanno dice che e come si vive, nei tempi e nei luoghi del quotidiano, la distanza tra i “principi” e la loro “praticabilità” ed accessibilità. La letteratura medica più gettonata, così come le tante epidemiologie della sostenibilità economica vedono questo mondo grigio popolato da dati – “big data” – di tutti i tipi, che si possono/devono incrociare, esplorare come miniere da cui estrarre conoscenze vendibili e che dirigono le pianificazioni e le priorità2. L’augurio – culturale, metodologico, operativo – del non-compleanno è quello di ricordarsi di vivere in un mondo abitato da persone, e da storie.
La medicina rappresenta anche qui il laboratorio della grande storia:
- sono cittadini con diritto a cure rimborsabili coloro che rientrano, nei diversi paesi, negli ambiti “assicurativi”, soprattutto se non hanno malattie “di mercato”, ma lo star male del vivere;
- le regole, europee o italiane o globali, di “controllo” dei migranti obbediscono alla stessa logica: i dati “dicono” che i flussi diminuiscono: basta fare scomparire le persone, ed affidarle ad “altri” destini ben noti, ma che sono funzionali ad obiettivi che vedono la vita delle persone come una variabile confondente3;
- la letteratura dei “principi” riconosce che dietro i termini solenni della sostenibilità non c’è molto: anzi c’è la “esternalizzazione” attiva ad altre discipline del compito di decidere che cosa ha senso o meno4. La in-definizione del termine “essenziale” era una porta aperta per fare entrare la vita e la sua dignità tra i criteri prioritari di valutazione dei farmaci e della sanità. 40 anni dopo − dovrebbe essere il tempo della maturità − l’OMS ha aperto la porta (e giustamente) a tutti i farmaci che contribuiscono ad aumentare/migliorare la vita: ma le “persone” al di là di questa porta sono divenute presenze facoltative. E, 200 anni dopo, una “paralisi” collettiva, quella della diseguaglianza – che è una malattia del sistema nervoso della società – è in attesa, non con molte speranze di adozione...
Bibliografia
1. Oliver Sacks è il testimone, lungo tutta la sua produzione letteraria, di come il racconto della malattia e delle storie personali può essere essenziale per favorire un ritorno alla vita. La sua bibliografia in italiano è troppo nota per essere qui ripetuta. Ed è bello citarlo qui, scrivendo nel giorno in cui si è approvata la legge sul biotestamento, per i suoi testi nel suo, lungo, “rivelatore”, fine vita. 2. La bibliografia sui “big data” si è fatta letteralmente sterminata: sostanzialmente scoprendo l’acqua calda: che cioè “scavando nei dati (data mining), si trovano tante più pagliuzze d’oro quanto più dati si hanno. Ma i dati di chi sono? E chi dichiara, garantisce la autenticità dell’oro delle informazioni? 3. Nello stesso giorno in cui si pubblica il rapporto di Amnesty su “Abuses against Europe-Bound Refugees and migrants - Libya’s Dark Web of collusion”, una rete di economisti molto famosi pubblica il rapporto (“big data”!) del World Wealth and Income Database sulle ineguaglianze crescenti, dal 1980 al 2016. 4. Almeno una citazione “professionale”. JAMA 2017;318: i due editoriali, pp. 1869-70; 1871-2 si domandano: “ma che cosa significa spesa sostenibile”?