Documento destinato ai Membri del Parlamento Europeo
Direttore di Social Audit Ldt
Charles Medawar Direttore di Social Audit Ldt
Il problema di base
Cosa c'è dietro una così forte pressione dell'industria farmaceutica internazionale affinché la legislazione europea venga modificata in modo da consentire la pubblicità "diretta ai consumatori" sui farmaci da prescrizione, collegandola ad un discorso di educazione sanitaria e di "Paziente Esperto"? La risposta, per dirla in breve, è che la crisi in cui si trova l'industria farmaceutica internazionale è diventata insostenibile. Le varie aziende non sono più sufficientemente innovative per crescere, un problema fino ad ora in gran parte oscurato dal balletto delle fusioni e delle acquisizioni. E' chiaro ora che l'industria farmaceutica internazionale può sopravvivere nella sua condizione attuale solo espandendo i mercati e vendendo farmaci che procurino elevati profitti in breve tempo ma per far questo è necessario promuovere e pubblicizzare i farmaci direttamente ai consumatori.
La Tabella illustra una situazione già critica e che sta peggiorando ulteriormente (Price Waterhouse Coopers, 2001). Il problema di fondo va individuato nel fatto che la prosperità e l'indipendenza delle Aziende più importanti dipendono dalla loro capacità di scoprire farmaci nuovi, il che non avviene affatto con la frequenza necessaria. Da qui, la dipendenza sempre più forte da farmaci che garantiscano guadagni ingenti e rapidi (prodotti con vendite dell'ordine di 500 milioni di dollari all'anno o più) e la necessità di investimenti sempre maggiori per promuoverli. Anche questa però è una lotta ardua: a fronte degli ingenti investimenti necessari per il marketing, meno del 4% di tutti i nuovi farmaci raggiunge queste condizioni di fatturato.
Per l'industria farmaceutica internazionale la situazione è divenuta progressivamente più difficile soprattutto negli ultimi dieci anni. Anche le Aziende che hanno più successo non riescono a sviluppare che la metà dei farmaci di cui avrebbero bisogno per sopravvivere. "Il problema principale consiste nel fatto che, per sostenere una crescita industriale media, una azienda deve introdurre in commercio, ogni anno, un prodotto nuovo che fatturi all'anno circa 300 milioni di sterline per ogni quota dell'1-1,5% posseduta del mercato farmaceutico mondiale. ... Ad una Azienda delle dimensioni di quella costituitasi con la recente fusione Glaxo-Wellcome /SmithKline Beecham occorrono 3-7 prodotti ogni anno, mentre ad una dalle dimensioni dell'Astra Zeneca ne servono da 2 a 4 ogni anno. Il problema è che la produttività della ricerca non regge questo passo. Nessuna delle Aziende più importanti si avvicina a questi obiettivi. (Horrobin 2000)1.
"John Niblack, vice-direttore e presidente di tutto il settore Ricerca e Sviluppo , ha detto che la Pfizer potrebbe commercializzare solo due farmaci all'anno, non abbastanza per continuare a far crescere le entrate e i guadagni alla velocità che gli azionisti si aspettano. ... Mr Niblack ha detto in una intervista: 'Due farmaci all'anno probabilmente non sono sufficienti in questo stadio di consolidamento del mercato. E' scoraggiante, ma non solo la Pfizer si trova a dover affrontare questa situazione'."(Financial Times 2001)2.
Questo spiega in parte l'attuale processo di "consolidamento del mercato", l'inesorabile "urgenza di fondersi". Le grandi Aziende internazionali hanno bisogno di capitali sempre più ingenti per fare ricerca e acquistare nuovi prodotti e del doppio per promuoverli. Tuttavia, le fusioni possono rappresentare solamente una soluzione a breve termine al problema, mentre possono aggravarlo sul lungo periodo3 (Horrobin, 2000).
"La realtà è che questa urgenza nasce dall'incapacità di innovarsi alla velocità necessaria. Non solo ma, poiché la maggior parte delle prove indica che tanto più elevato è il budget per Ricerca e Sviluppo, tanto minore è la produttività per ogni 100 milioni di sterline investite, il probabile risultato di tali fusioni è comunque una insufficiente capacità di innovazione e la necessità di fondersi ancora per far fronte al disastro".
Sono questi gli elementi principali che spiegano l'osservazione del Wall Street Journal (2000)4: "l'industria farmaceutica sta pian piano abbandonando l'impegno imprevedibile e sempre più oneroso di creare nuovi farmaci, che è stato da sempre la ragione della sua esistenza, per spostarsi verso il commercio, attività semplice e vantaggiosa".
Pertanto, la pressione per rendere meno rigida la normativa europea sulla pubblicità è divenuta veramente intensa, con una attività concertata di lobbying da parte dell'industria farmaceutica internazionale, dai più alti vertici fino ai livelli più bassi.
Le necessità del commercio rispetto a quelle della salute
L'Association of the British Pharmaceutical Industry (ABPI) ha messo in atto in tutt'Europa, soprattutto nei paesi maggiori produttori di farmaci, la sua strategia per arrivare a pubblicizzare i farmaci direttamente ai consumatori. Il "Piano di Battaglia" è stato descritto nel corso di una riunione privata dal Direttore Generale dell'ABPI, e riportato nella rivista di categoria Pharmaceutical Marketing nel modo seguente:
"Ora l'ABPI ha annunciato che è in procinto di lanciare la fase finale della sua campagna, prima di affrontare il Governo e i vertici dell'Unione Europea. ... Si tratta della punta avanzata di una campagna attentamente meditata. Il piano di battaglia dell'ABPI prevede il ricorso a "truppe di terra", rappresentate sia da gruppi di sostegno dei pazienti, che da medici e operatori sanitari "alleati" che faranno in modo di spostare il dibattito verso il tema del "paziente informato". Questo avrà l'effetto di indebolire le difese politiche, ideologiche e professionali... Quindi l'ABPI stessa entrerà in azione attraverso attacchi mirati ad alto livello sia su specifiche commissioni governative che a Bruxelles (Jeffries, 2000)5.
Negli Stati Uniti, l'attività promozionale rivolta direttamente ai consumatori è stata effettivamente ammessa a partire dal 1997. Da quella data, la spesa per la sola pubblicità, prima praticamente insignificante, è arrivata a circa 2 miliardi e mezzo di dollari all'anno (2000). Nello stesso tempo sono aumentati enormemente anche il numero di farmaci ad alto fatturato e la spesa per farmaci6. Nel 1996/97, 23 farmaci ad alto fatturato hanno determinato il 28% di tutte le vendite dei farmaci da prescrizione. Cinque anni dopo, 69 farmaci hanno determinato oltre la metà dei 161 miliardi di dollari spesi per farmaci negli USA (IMS Health, 2001)7. Oltre la metà dell'incremento annuale della spesa per farmaci negli Stati Uniti è attribuibile a questo piccolo gruppo di farmaci, pesantemente propagandati (NIHCM, 2001).
Così, da un punto di vista commerciale e soprattutto in tempo di crisi - il mercato statunitense ne trae vantaggi evidenti: si tratta di una condizione di mercato relativamente libero con enormi potenzialità di crescita. Il mercato degli Stati Uniti rappresenta il 40% del mercato mondiale per cui tutte le Aziende prosperano o falliscono in base al loro andamento su quel mercato e naturalmente esercitano pressioni perché vengano adottate ovunque condizioni di mercato simili. Di qualsiasi paese sia la casa madre, ogni azienda farmaceutica considera sempre di più gli Stati Uniti come una patria spirituale e un modello di come vorrebbe che fosse il resto del mondo.
Dal punto di vista sanitario, invece, la situazione americana appare sempre più allarmante. Una crescita a due cifre del mercato si traduce in una spesa sanitaria e farmaceutica che neppure gli Stati Uniti ritengono di potersi permettere di sostenere persino questo paese dove solo la metà della popolazione ha una buona copertura assicurativa di base per l'assistenza sanitaria (OECD, 2001)8, e oltre 40 milioni di persone non l'hanno affatto (OMS 2000). Una spesa sanitaria di queste proporzioni metterebbe rapidamente in ginocchio il modello di assistenza sanitaria di cui godiamo nei paesi della Comunità Europea e altrove (vedi Tabella 1 e 2).
Inoltre, è chiaro che investire in sanità produce profitti sempre minori. Per quanto grandi siano i benefici che alcuni ne ricavano e malgrado i grandi progressi negli standards qualitativi della medicina, il ritorno complessivo in termini di salute degli investimenti è basso e i costi assoluti sono troppo alti. LaTabella 1 dimostra anche perché, se si ragiona in termini globali, ci siano validi motivi per resistere all'introduzione del modello statunitense di assistenza sanitaria. Le condizioni di salute nei paesi più poveri potrebbero venire radicalmente trasformate, utilizzando solamente una piccola frazione di questa spesa.
La Tabella 2 illustra in qualche misura il conflitto fra gli interessi del mercato e gli interessi sanitari e cosa hanno prodotto in termini di salute i sistemi sanitari dei vari paesi. Da un lato le condizioni del mercato americano sostengono l'industria farmaceutica e, nella migliore delle ipotesi, gli standard di assistenza negli Stati Uniti sono ottimi. Dall'altro lato tuttavia il sistema sanitario americano dimostra che i soldi investiti producono scarsi risultati in termini di salute ed è ben lungi dal soddisfare i bisogni di salute dei cittadini.
Il valore dell'innovazione
A fronte di questa situazione, sia la Commissione Europea che i governi di alcuni Paesi Membri stanno dandosi da fare per migliorare le condizioni del mercato per le aziende. L'obiettivo è quello di aumentare la competitività dell'industria farmaceutica della Comunità Europea e porre un freno al minacciato esodo verso gli Stati Uniti. Questa eventualità ha destato grande preoccupazione persino (e forse soprattutto) in quei paesi dove la produzione e l'esportazione di farmaci è più forte. "Ciò che rende un'industria veramente globale è la possibilità per le varie compagnie di scegliere liberamente come non mai dove effettuare nuovi investimenti" (Blair, 2001)9,10.
Nel Novembre del 1999, il Primo Ministro Blair si è incontrato per discutere dei problemi dell'industria farmaceutica con i vertici dell'Astra Zeneca, della Glaxo Wellcome e della SmithKline Beecham9. Un rapporto di 70 pagine è stato il risultato immediato della Task Force, co-presieduta da Lord Hunt, Ministro della Sanità inglese, responsabile della regolamentazione dei farmaci. Pubblicato nel marzo 2001, questo rapporto ha sottolineato come l'industria farmaceutica inglese sia "un gioiello della corona industriale dell'economia britannica" enfatizzando l'avvio un nuovo spirito di collaborazione (Pharmaceutical Industry Competitiveness Task Force PICTF - 2001)12.
Il rapporto della Task Force sulla Competitività dell'Industria Farmaceutica ha descritto in dettaglio una serie di provvedimenti specifici e di impegni per il governo che potrebbero aiutare l'industria farmaceutica a prosperare compreso quello di adoperarsi per il completamento del Mercato Unico. Questa iniziativa della Gran Bretagna ha portato direttamente alla creazione di una Task Force europea, nota come "G10"13.
Lord Hunt ... ha ribadito con forza questi punti fermi in occasione della tavola rotonda sulla competitività dell'industria farmaceutica europea che si è tenuta lo scorso dicembre a Bruxelles presso Erkki Liikanen, Commissario per l'Industria. Ci si attende che questo dibattito porti alla creazione di una Task Force Europea sulla competitività dell'industria farmaceutica".
Per sostenere la propria causa per la liberalizzazione del mercato, naturalmente l'industria farmaceutica non ha messo in evidenza il declino della capacità di innovazione che investe l'industria farmaceutica in generale. L'attenzione è stata focalizzata invece sul rendimento relativamente scarso e sulla mancanza di "innovazione" in Europa e sulla minaccia di investire altrove. Sembra che questi temi abbiamo preoccupato sia la Task Force inglese che quella della Comunità Europea, le quali, tuttavia, nelle loro analisi, non hanno tenuto conto che, anche negli Stati Uniti, la redditività dell'industria, calcolata in base ai dividendi corrisposti agli azionisti, è in declino; infatti, "nell'arco di due anni, fino a febbraio 2001, i dividendi delle azioni delle 20 più importanti aziende farmaceutiche sono diminuiti mediamente del 7%" (Price Waterhouse Coopers, 2001). Parimenti, l'industria farmaceutica si è ben guardata dall'attribuire la sua scarsa capacità di innovazione a difetti che nascono proprio al suo interno (compreso quello di essere vittima del suo stesso successo). Ha incentrato invece la discussione esclusivamente sulle restrizioni e le pressioni esterne e le "ostili" condizioni del mercato. L'industria farmaceutica condanna i troppi vincoli alla commercializzazione dei farmaci, la regolamentazione più rigida e più complicata, la sempre maggior importanza attribuita alla valutazione dei farmaci, il controllo dei prezzi e la mancata protezione della proprietà intellettuale.
E' evidente che sia la Task Force inglese che il G10 sono convinti che la crisi dell'innovazione sia solo europea e non coinvolga anche gli Stati Uniti. Questa convinzione, tuttavia, deriva dal fatto che non fanno alcuna distinzione fra le vere novità terapeutiche degne di interesse, che sono relativamente poche, e la maggior parte dei "nuovi farmaci" che tali in realtà non sono. Si tratta di una distinzione cruciale che è assurdo ignorare dal momento che quasi tutti i farmaci nuovi apportano solamente vantaggi marginali rispetto a quelli già disponibili. Meno di un farmaco su quattro apporta qualche vantaggio terapeutico importante (Parlamento Europeo, 1994)14, (FDA, USA, 1992-1999)15, (NIHCM, agosto 2000)16, (Prescrire International 2001)17.
La totale incapacità di distinguere fra le vere e le false novità emerge con hiarezza nel rapporto della Task Force inglese (PICTF 2001, Tabella 8.1) "Principali Indicatori di Competitività e di Prestazioni". I tre punti principali da cui misurare la "produttività" dell'industria sono:
il numero di brevetti per cui si chiede la prima autorizzazione all'immissione in commercio a livello mondiale, suddiviso per quota spesa per Ricerca & Sviluppo rispetto a quella spesa a livello mondiale;
il numero di farmaci di aziende inglesi che si collocano fra i "75 farmaci più venduti" a livello mondiale;
quale percentuale della spesa mondiale per Ricerca & Sviluppo in campo farmaceutico viene investita.
In modo simile, la principale analisi su cui si è basata la Comunità Europea (Gambardella et al. 2000)19 ha misurato il valore di una innovazione unicamente in termini economici; non ha tenuto conto della sua rilevanza terapeutica né del fatto che rappresenti o meno una risposta a reali esigenze di carattere medico (Médecins Sans Frontières, 2001)19. Sia la Commissione europea (DG Enterprise) che la Task Force inglese hanno ritenuto meritevole di interesse qualsiasi novità commercializzabile. Implicitamente, hanno definito come migliori innovazioni i farmaci ad elevato e rapido profitto.
I limiti di questa ottica dal punto di vista sanitario emergono chiaramente esaminando la reale utilità terapeutica dei farmaci più venduti negli Stati Uniti. Si tratta per la maggior parte di trattamenti destinati alla cura delle "malattie del benessere"; solo pochi rappresentano progressi terapeutici di qualche rilievo. La differenza fra un importante avanzamento terapeutico o un guadagno economico è profonda. I farmaci veramente efficaci si pubblicizzano da soli anche se non con la forza che il produttore vorrebbe e di cui avrebbe bisogno.
"Confrontando la spesa per farmaci sostenuta da vari paesi del mondo, si evince che l'Europa spende nei farmaci più vecchi una parte relativamente consistente del suo budget farmaceutico. Occorre perciò riflettere su quali siano le possibili strade e i metodi per far sì che l'industria farmaceutica investa di più in prodotti veramente innovativi" (Liikanen, 2000)20.
Le analisi a cui hanno fatto riferimento tanto la Task Force inglese che il DG Enterprise non solo hanno dato per scontato che i farmaci di più recente commercializzazione siano migliori, ma non si sono neppure poste il problema di valutare se i costi richiesti per l'innovazione siano o debbano essere così alti come l'industria farmaceutica rivendica. Una revisione critica e dettagliata effettuata da Public Citizen (2001)21, una Organizzazione Non Governativa che ha sede a Washington, fornisce molte prove che indicano come il vero costo per Ricerca & Sviluppo sia molto più basso rispetto a quanto sostiene l'Industria Farmaceutica.
"Questo nuovo rapporto di Public Citizen rivela come le più importanti aziende farmaceutiche americane, di concerto con il loro gruppo di pressione a Washington, Pharmaceutical Research and Manufacturers of America (PhRMA), abbiano condotto una campagna fuorviante per spaventare politici e cittadini. Il punto centrale delle loro rivendicazioni è che l'industria ha bisogno di profitti molto elevati per finanziare la ricerca e lo sviluppo di farmaci nuovi, attività questa costosa e ad alto rischio. Se si adottano provvedimenti per moderare prezzi e profitti, il settore della ricerca e dello sviluppo ne soffrirà e, come ha recentemente sostenuto il presidente di PhRMA, 'ne verranno danneggiati milioni di americani affetti da malattie potenzialmente fatali'. Questo quadro spaventoso è in realtà una frottola che si fonda su miti, falsità ed equivoci, resi possibili dal fermo rifiuto dell'industria farmaceutica di mostrare la contabilità del settore Ricerca & Sviluppo a periti inviati dal Congresso o a revisori ndipendenti".
"Utilizzando sia gli studi effettuati dal governo, sia le registrazioni aziendali presso la US Security Exchange Commission, sia documenti ottenuti grazie al Freedom of Information Act, Public Citizen ritiene "che l'affermazione dell'industria farmaceutica secondo la quale la ricerca e lo sviluppo costano complessivamente 500 milioni di dollari per ogni nuovo farmaco (compresi quelli che non arriveranno mai sul mercato) è molto lontana dalla verità" e che "al netto delle tasse la spesa reale che le aziende farmaceutiche sostengono per il settore Ricerca & Sviluppo è approssimativamente di 110 milioni di dollari".
Le consultazioni private
Negli Stati Uniti, la pubblicità rivolta ai consumatori è di fatto iniziata nell'agosto del 1997, quando la FDA ha reso più flessibili le norme per la pubblicità in televisione, alla radio e su Internet. Alla fine del 1997, si è discusso dell'importanza di questa decisione della FDA22anche nell'ambito di una Commissione europea ma, da notare, non per esigenze dettate da interessi sanitari nell'ambito della Comunità Europea. Una valutazione sul funzionamento del sistema di controllo sui farmaci vigente a livello della Comunità Europea nel periodo 1995-199923 aveva infatti riportato una generale soddisfazione rispetto alla normativa sulla pubblicità:
"E' opinione generale che le disposizioni sulla pubblicità siano ancora adeguate e non si ravvedono ragioni per prendere in considerazione alcun cambiamento ... eccezion fatta per la necessità di chiarire quale sia la linea di demarcazione fra educazione sanitaria e promozione dei farmaci da prescrizione direttamente ai cittadini".
Per contro, la richiesta di estendere alla gente la pubblicità sui farmaci da prescrizione da parte dell'industria farmaceutica americana risulta chiaramente da un punto ben in evidenza del "Rapporto Semestrale" della Transatlantic Business Alliance [Il Transatlantic Business Alliance Dialogue - TABD - è un forum di discussione ad alti livelli istituito nel 1995 dal governo degli Stati Uniti e dall'Unione Europea. In questa sede, i massimi vertici dell'industria e della Comunità Europea (Dirigenti d'industria e Commissari Europei) si confrontano "per concordare con il governo i provvedimenti prioritari per l'industria"].
"Identificazione delle priorità/definizione del problema.
Negli Stati Uniti è consentito all'industria, pur con rigorose norme di controllo, fornire informazioni sui farmaci da prescrizione direttamente ai cittadini. L'Unione Europea limita rigidamente questo tipo di comunicazione e ciò crea una discrepanza nel trattamento normativo riservato all'industria sui mercati al di qua e al di là dell'Atlantico, discrimina i cittadini europei rispetto ai cittadini americani, privandoli del loro diritto alla conoscenza ed è una situazione non più al passo col progresso tecnologico grazie al quale tutti i cittadini riescono ad avere qualsiasi informazione sui farmaci, accedendo ad Internet o altre fonti internazionali, ma non le possano avere nel loro stesso paese".
Il DG Enterprise recepì il messaggio. Nell'ottobre del 1998, l'allora Direttore dell'Unità Farmaceutica, riferì alla conferenza annuale dell'IFPMA (International Federation of Pharmaceutical Manufacturers Federations) che ci si poteva attendere a breve colloqui preliminari sulla possibilità di togliere il divieto di pubblicizzare i farmaci direttamente ai consumatori (Deboyer, 1998)24. Nel "Charlotte Communique" del TABD (novembre 1998) venne espressa soddisfazione a questo proposito e l'industria quindi richiese "che la Commissione costituisse un gruppo di lavoro per rivedere il problema della pubblicità rivolta ai consumatori"25.
Il TABD successivamente modificò la sua linea di condotta. La Commissione pubblicò nel giugno 1999 una proposta di direttiva, dove venivano suggerite rigorose limitazioni per la pubblicità sui farmaci direttamente "al pubblico", consentendo anche agli Stati Membri di proibire qualsiasi forma di pubblicità sui farmaci soggetti a rimborso26. Questa proposta escludeva la liberalizzazione completa della pubblicità rivolta ai consumatori ma lasciava aperta la porta alla promozione dei farmaci da prescrizione ai pazienti. Il "Berlin Communique" del TABD (ottobre 1999) reagì aspramente a quella che venne definita una chiara negazione dei diritti dei cittadini ma nello stesso tempo spostò anche il dibattito incentrandolo sulle necessità e sugli interessi dei pazienti.
"I cittadini dell'Unione Europea devono avere le stesse possibilità che hanno i cittadini statunitensi di accedere alle informazioni sanitarie. L'Unione Europea deve rivedere la normativa esistente e cercare soluzioni per far sì che, anche in Europa, i pazienti possano beneficiare di informazioni sanitarie appropriate; in questa verifica preliminare del processo di liberalizzazione della pubblicità rivolta ai cittadini, si dovrà prendere attentamente in considerazione l'esperienza degli Stati Uniti. Pur salvaguardando gli interessi dei pazienti, ci si dovrà tuttavia assicurare che continuino a consultare i medici".
Nel frattempo l'Unità Farmaceutica nell'ambito del DG Enterprise aveva cominciato a consultarsi con la propria Commissione Farmaceutica costituita dai rappresentanti degli Stati Membri. Questo è stato un passaggio chiave per una Direzione così fortemente orientata agli aspetti commerciali, poiché i vari Membri della Commissione rappresentano i rispettivi Ministeri della Sanità. Sono in gran parte professionisti sanitari e i problemi commerciali non sono certo il primo dei loro pensieri. Nell'aprile 1999, l'Unità Farmaceutica e la Commissione hanno trovato un accordo su come procedere.
Innanzitutto, hanno concordato una "Guida Interpretativa"27 in cui si chiariva la distinzione fra un'informazione sui farmaci volta a stimolare "la prescrizione dei farmaci, l'offerta, la vendita o il consumo di medicinali" e un'informazione che invece non ha queste finalità. In secondo luogo hanno concordato la costituzione di un gruppo di lavoro formato da una rappresentanza selezionata delle varie parti interessate, per approfondire da tutti i punti di vista il problema - definito nei loro documenti come "oggetto attualmente di un intenso dibattito"28. In realtà questo Gruppo di Lavoro si è riunito una sola volta, circa un anno dopo, e non è stato in grado di produrre altro che una dichiarazione di accordo con la raccomandazione dell'Unità Farmaceutica di far circolare un questionario per sollecitare più opinioni sul tema della pubblicità rivolta ai consumatori. Problemi e domande sono stati quindi indirizzati al sito intenet del DG Enterprise: nessuno riguardava in modo specifico il problema della pubblicità diretta ai cittadini e, per la maggior parte, erano incomprensibili (Medawar 2000)29.
I risultati di questa consultazione tramite questionario non sono stati pubblicati né, sembra, comunicati ai membri della Commissione Farmaceutica. L'unico indizio lo si ritrova in una battuta nel rapporto della Task Force inglese "L'opinione del governo è che il divieto vigente in Europa di pubblicizzare direttamente ai pazienti i farmaci da prescrizione debba permanere; neppure dai governi degli altri Stati Membri emerge la necessità di qualsiasi cambiamento di questa posizione"30.
Le rappresentanze dei pazienti
Nella Revisione della Legislazione Farmaceutica pubblicata nel luglio del 2001, il DG Enterprise ha proposto, nell'articolo 88(2) di eliminare il divieto di pubblicizzare i farmaci da prescrizione direttamente ai consumatori. Al centro delle nuove proposte c'è l'idea che questo tipo di informazione dovrebbe essere prodotta dall'industria farmaceutica unicamente per venire incontro alle richieste e alle necessità dei pazienti e delle organizzazioni di pazienti.
Sulla proposta di consentire alle Aziende di rispondere alle richieste di informazione da parte di singoli pazienti non c'è molto da discutere, se non altro per la ricchezza delle informazioni sponsorizzate dall'industria già disponibili in Internet. Non sarebbe possibile limitare l'accesso a tali dati31né ci si deve preoccupare di proteggere la popolazione in generale se i singoli cittadini cercano per sé le informazioni a cui sono interessati. Il problema per la Comunità nasce quando le persone vengono continuamente fatte oggetto di promozione dei farmaci, utilizzando metodi più sottili.
Cosa accade quando messaggi ispirati da intenti commerciali, sia su aspetti diagnostici che terapeutici, dominano il panorama dell'informazione?
Questo favorirà l'uso razionale dei farmaci o la comprensione del rapporto beneficio/rischio?
O favorirà invece il ricorso ai farmaci a scapito di alternative forse migliori, fra cui il non intervento e/o trattamenti meno efficaci o con miglior rapporto costo/efficacia?
Sommergerà l'offerta di informazione proveniente da fonti indipendenti e comprometterà l'indipendenza editoriale della stampa e dei media e il loro modo di affrontare temi di carattere sanitario?32
Fino a che punto favorirà la medicalizzazione della vita di tutti i giorni?
La gente avrà l'impressione di essere più sana o si ridurrà la fiducia nelle proprie capacità (e responsabilità) di guarire e di rimanere in buona salute?
Il problema è che siamo frastornati dalla pubblicità e questo non va bene, non solo per la vita della società; la pubblicità sui farmaci metterà in ginocchio qualsiasi sistema sanitario, non importa quando grande ed efficiente esso sia. Se le persone vengono educate a credere di essere fondamentalmente fragili, sempre sul punto di ammalarsi gravemente, nella necessità costante di avere intorno medici o farmacisti, sempre dipendenti da una immagine di medicina preventiva, potrebbero non esserci più limiti al numero degli ambulatori medici, cliniche e ospedali necessari per soddisfare una simile domanda. ...Nella vita reale, siamo tuttavia persone ragionevolmente sane. Ben lungi dall'essere costruiti in modo inadeguato, siamo organismi sorprendentemente solidi e resistenti, pieni di salute, pronti a tutte le evenienze. Il nuovo pericolo per il nostro benessere, se continuiamo a prestare ascolto a tutto ciò che ci viene detto, è quello di diventare una nazione di sani ipocondriaci, di vivere con circospezione, con la paura di essere mezzi morti." (Thomas 1980)33.
Queste sono alcune delle domande basilari, appena accennate nelle deliberazioni ufficiali sulla pubblicità rivolta ai consumatori. In nome del diritto alla segretezza, le Autorità inglesi hanno posto resistenza ad una consultazione pubblica da sottoporre all'Ombudsmam (e hanno poi perso la causa)34. Il DG Enterprise ha effettuato qualche consultazione, ma in modi misteriosi.
La chiave per comprendere le attuali proposte della Comunità Europea, volte a consentire alcune forme di pubblicità rivolta ai consumatori, sembra vada ricercata nell'enfatizzazione della volontà di andare incontro alle richieste di informazione avanzate dalle organizzazioni di pazienti:
Innanzitutto, sosteniamo che deve pervenire una richiesta in questo senso da parte dei pazienti o di gruppi di pazienti. Desidero ribadire che questa modifica è stata in gran parte dovuta alle ripetute richieste avanzate da gruppi di pazienti... Dopo un test di prova su tre tipi di patologie ben precise, il nostro desiderio è quello di assicurarci che vengano rese disponibili informazioni validate e orientate al paziente, laddove siano i pazienti stessi o gruppi di pazienti a richiederle (Liikanen, 2001)35."
"...la diffusione di informazioni relative a determinati medicinali è autorizzata solo a condizioni ben precise nell'interesse dei pazienti, per rispondere alle loro legittime esigenze. ...Gli Stati Membri a loro volta autorizzeranno la divulgazione di informazioni su determinati farmaci... per rispondere alle aspettative espresse da gruppi di pazienti" (DG Enterprise, 2001)36.
Ma che tipo di organizzazioni di pazienti ha in mente il DG Enterprise? In seguito alla riunione di "approfondimento" tenutasi nel marzo 2000, il direttore dell'Unità farmaceutica del DG Enterprise ha scritto ad Health Action International (HAI)37 per spiegare il perché di un cambiamento di politica (Brunet, 2000)38. Nella lettera si diceva chiaramente che l'Unità Farmaceutica non era più soddisfatta dei suggerimenti e delle sollecitazioni provenienti dalle organizzazioni dei consumatori tradizionalmente consultate, dal momento che "non si sono rivelate in grado di fare ciò che, da sempre, ci siamo attesi che facessero, ossia rappresentare gli interessi dei consumatori come pazienti".
"Un certo numero di osservazioni avanzate da gruppi di pazienti" ha scritto inoltre il direttore dell'Unità Farmaceutica nella lettera "erano di questo tenore" suggerendo ad HAI di "contattare Mr. Elgie del GAMIAN Europa il quale, a nome di numerosi gruppi di pazienti, ha espresso anch'egli interesse a rappresentare i pazienti in questo dibattito". Il GAMIAN (Global Alliance of Mental Illness Advocacy Organizations) è stato fondato dalla Bristol-Myers Squibb. Rodney Elgie39 è stato anche tesoriere della International Association of Patient Organization (IAPO) che è stata fondata ed è finanziata da un consorzio di una trentina di aziende farmaceutiche, che va sotto il nome di Pharmaceutical Partners for Better Healthcare40.
Tutto ciò ed altro ancora sta a dimostrare che il "Piano di Battaglia" dell'Industria Farmaceutica che prevedeva "di impiegare truppe di terra, rappresentate da gruppi di sostegno dei pazienti" è stato attuato con grande successo. Esistono testimonianze chiare e preoccupanti che le organizzazioni europee di pazienti stanno assomigliando sempre più alla loro controparte negli Stati Uniti. L'industria ha utilizzato mezzi di qualunque tipo, a volte anche non del tutto regolari, per fare entrare in gioco le organizzazioni dei pazienti, ingraziandosele a tal punto da potersi aspettare di diminuirne l'imparzialità, l'integrità, la trasparenza e una sana competitività.
La National Alliance for the Mentally Ill (NAMI) "una organizzazione di base che raggruppa soggetti con problemi mentali e i loro familiari" tra il 1996 e il primo semestre del 1999 ha ricevuto 11,72 milioni di dollari da parte di 18 aziende farmaceutiche, la più munifica delle quali è stata la Eli Lilly, produttrice del Prozac, che in questo periodo ha elargito 2,87 milioni di sterline (Silverstein, 1999)41.
"Durante lo scorso decennio, inoltre, le ditte farmaceutiche hanno speso milioni per creare gruppi apparentemente indipendenti che si adoperassero per rendere più spedito l'iter dei lavori. L'anno scorso, l'associazione degli industriali ha fondato il Citizen for Better Medicare che ha investito 50 milioni di dollari in una campagna pubblicitaria per opporsi al controllo del governo sui farmaci da prescrizione e, quindi, sui loro benefici. I dati delle varie attività di lobbying dimostrano che le aziende farmaceutiche sono le maggiori sostenitrici dell'Alliance for Better Medicare, che si autodefinisce come una 'coalizione di circa 30 organizzazioni che rappresentano pensionati, pazienti, ricercatori, medici, ospedali, piccoli imprenditori ed altri soggetti'" (Gerth & Stolberg, 2000)42.
"Come Presidente della Danish Migraine Association, spesso ho detto la mia opinione ai media e ai miei colleghi presidenti di altre associazioni, e cioè che dobbiamo stare molto attenti a non essere in realtà degli organi di propaganda dell'industria farmaceutica. Quando la Danish Migraine Association ha rifiutato 'l'assistenza' dell'industria farmaceutica per la realizzazione e la stampa della proprio giornale, per l'organizzazione di conferenze e per il funzionamento generale dell'associazione, l'industria, generosamente sostenuta dai medici del settore della ricerca, ha letteralmente creato nel 1996 una nuova organizzazione di pazienti in sostituzione della Migraine Association. Si è trattato in effetti di un comportamento un po' troppo sfacciato perché potesse venir accettato disinvoltamente da pazienti informati e opinion maker, anche perché, come associazione, non abbiamo accettato di buon grado l'accaduto e ne abbiamo dato informazione alla stampa. Il nostro non è un caso isolato; sono a conoscenza di altre organizzazioni di pazienti che vengono letteralmente adottate senza che capiscano cosa sta loro succedendo. Fortunatamente, vi è sempre maggiore consapevolezza del problema". (Bulow-Olsen, 2000)43.
"Un domani, una azienda farmaceutica farà il primo passo per spingere la gente a richiedere l'erogazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale per uno dei suoi farmaci. La campagna Action for Access è finanziata dalla Biogen, la quale ne ha affidato l'organizzazione ad una ditta di Pubbliche Relazioni. L'obiettivo è quello di sollecitare i tanti pazienti che soffrono di sclerosi multipla a richiedere alle rispettive autorità sanitarie un accordo per la prescrizione a carico del Servizio Sanitario Nazionale dell'interferone-beta, un farmaco molto costoso, di cui possono beneficiare alcuni pazienti ma non tutti (Boseley, 1999)44.
Nel 1999, in Inghilterra, l'Associazione dei Pazienti ha promosso, assieme alla Pharmacia Upjohn (P&U), un prototipo di campagna televisiva per i consumatori, volta ad "aumentare la consapevolezza" della gente sul problema dell'incontinenza urinaria. In televisione non si menzionava alcun nome commerciale, ma si sollecitavano semplicemente i pazienti a consultare il medico. Quelli che l'hanno fatto, con buona probabilità si sono visti prescrivere la specialità leader del mercato, quella più intensamente propagandata, il Detrusitol (tolterodina, P&U). La tolterodina tuttavia è farmaco relativamente poco efficace, la cui utilità per chi l'assume non è molto superiore a quella di un placebo ed è destinata ad un problema per il quale spesso sarebbero preferibili trattamenti non farmacologici. La P&U inoltre è stata ripetutamente criticata per pubblicità ingannevole, soprattutto negli Stati Uniti. Fra il 1998 e il 2000, la P&U ha ricevuto 5 lettere di ammonimento da parte della Food and Drug Administration americana. Nelle due più recenti, l'azienda è stata rimproverata per aver dato ampio risalto alla "selettività" del farmaco, suggerendo che, dal momento che agisce direttamente sulla vescica, provoca minore secchezza della bocca. La documentazione della P&U tuttavia si basa non su studi clinici ma su studi condotti sui gatti. In Inghilterra, la ditta ha resistito per oltre un anno alla pressione delle autorità regolatorie. L'Associazione dei Pazienti se n'è accorta troppo tardi, quando già aveva sostenuto la campagna televisiva comune e accettato ingenti contributi dalla P&U. A turno essi hanno gentilmente ringraziato la ditta e le hanno concesso uno dei loro "Premi"45.
Il DG Enterprise deve ancora affrontare i problemi che possono nascere da questa situazione. Il primo problema è che le aziende farmaceutiche sono poco intraprendenti: perorano la propria causa e poi lasciano che siano le rappresentanze e le organizzazioni dei pazienti, più o meno spontaneamente, a "rappresentarli" nelle riunioni e nelle questioni nor mative. Un altro problema è che i vari gruppi di pazienti sono molto vulnerabili alle "avances" delle aziende e delle varie associazioni di industriali. Molti gruppi di pazienti lottano per sopravvivere e le campagne pubblicitarie rivolte ai cittadini possono dare loro più potere. Direttamente e indirettamente, campagne di questo tipo attirano l'attenzione su necessità particolari e meritevoli di interesse e sulle difficoltà che i vari gruppi si trovano a dover affrontare. Dal punto di vista dei gruppi che rappresentano i pazienti, la pubblicità rivolta ai consumatori può aumentare il numero degli associati, forse può voler dire più spazio sulla stampa e più finanziamenti, più visibilità e importanza e senso di conquista e, a volte, ingenti donazioni anche da parte delle stesse aziende.
Il G10 ha riconosciuto che il problema esiste, al punto di proporre che "la Commissione dovrebbe prevedere uno stanziamento per finanziare i vari gruppi di Pazienti Europei, mettendoli così in condizione di partecipare al dibattito e alle decisioni su temi di carattere sanitario a livello europeo senza dipendere finanziariamente dall'industria farmaceutica". Ma sarebbe veramente d'aiuto un finanziamento gestito dal DG Enterprise, il cui impegno principale è rivolto al mondo imprenditoriale e alla crescita del mercato tenuto conto anche del suo punto di vista sul rapporto fra commercio e salute?
La Task Force G10 (a maggioranza)46 sembra proprio dare per scontato che la pubblicità possa offrire ai pazienti le informazioni che vogliono, di cui hanno bisogno e di cui potrebbero beneficiare. La gente sarebbe meglio informata, aumenterebbe la consapevolezza nei confronti delle malattie e ne mitigherebbe la stigmatizzazione. Inoltre dalla liberalizzazione del commercio le aziende potrebbero trarre coraggio per ricercare e produrre quei farmaci innovativi che la gente adesso vuole. Semplice: una vittoria su tutti i fronti.
L'informazione per i pazienti
In un suo documento, il G1047 sottolinea come 'un dato di fatto' "la necessità di rivedere le norme nazionali che impediscono all'industria di essere legittimata a diffondere informazioni o produrre opuscoli di educazione sanitaria sulle malattie"; afferma inoltre che "l'industria farmaceutica può giocare un ruolo cruciale nel fornire ai pazienti informazioni affidabili, pertinenti ed equilibrate così da renderli partecipi e competenti sull'uso corretto dei loro prodotti".
Il documento del G10 non produce alcuna prova a sostegno di questo suo punto di vista, mentre ne esistono molte per contestarlo. In teoria, le varie aziende farmaceutiche sono sicuramente in grado di produrre un'informazione che rispetti i 12 punti standard dell'informazione di buona qualità per il paziente identificati dal G10. In pratica questo non avviene ed è logico che non avvenga. Sembra veramente ingenuo aspettarsi un'effettiva adesione agli standard previsti dal G10 per una 'informazione di buona qualità'48. L'esperienza della pubblicità rivolta ai consumatori sia negli Stati Uniti che in Nuova Zelanda dimostra che di norma le aziende farmaceutiche si spingono al limite di quanto è loro consentito e frequentemente lo oltrepassano. Nel corso del 1999, un prodotto su quattro fra quelli pubblicizzati direttamente alla gente è stato oggetto di notifica di violazione da parte della FDA (McKinsey, 2000)49. La frequenza delle violazioni notificate in Nuova Zelanda è stata ancora maggiore50.
La verifica dell'adesione alle norme è chiaramente molto complessa perché è necessario un minuzioso esame per correggere asserzioni non equilibrate. La pressione alla 'medicalizzazione' sembra quasi inarrestabile, come dimostra l'esempio seguente. Si riferisce ad una contestazione della FDA (16 novembre 2000) nei confronti di una pubblicità televisiva di 60 secondi per le compresse di Sarafem (fluoxetina). Secondo l'FDA "l'informazione manca va del giusto equilibrio ed era fuorviante":
"L'immagine utilizzata nella pubblicità mostra una donna frustrata mentre cerca di estrarre uno dei carrelli in fila fuori da un negozio, mentre la voce dello speaker dice: 'Pensi si tratti di sindrome premestruale? Potrebbe trattarsi in realtà di disturbo disforico premestruale'. Né le immagini né il commento che le accompagna definiscono o illustrano in modo preciso cosa sia il disturbo disforico premestruale né questo viene chiaramente distinto dalla sindrome premestruale. Di conseguenza, il messaggio complessivo estende le indicazioni del farmaco e banalizza la gravità del disturbo disforico premestruale, le cui caratteristiche principali sono umore depresso, ansia o tensione, labilità affettiva, collera e irritabilità persistente. Per diagnosticare questo disturbo, questi e altri sintomi devono interferire pesantemente con l'attività lavorativa, scolastica e le normali attività sociali e di relazione".
Il concetto di medicalizzazione è difficile da definire. E' sufficiente qui riconoscere che il rischio è reale (Thomas, 1980)51 e pensare a cosa diventerebbe la nostra sanità se qualsiasi naso che cola fosse una rinite allergica, ogni mal di testa un'emicrania e ogni vuoto di memoria un morbo di Alzheimer: può darsi che il DG Enterprise stia pensando che l'Europa non sia pronta per importare le stile della pubblicità rivolta ai consumatori adottato negli USA. Gli esempi riportati sono comunque abbastanza esplicativi del livello informativo che le aziende hanno scelto di offrire ai futuri pazienti, anche quando sottoposte a una stretta regolamentazione52.
Vale la pena inoltre di ricordare anche che nessun altro paese possiede organismi normativi e di controllo paragonabili alla FDA americana. Per la verità, due terzi dei paesi del mondo "non hanno ancora alcuna legge per regolamentare la pubblicità sui farmaci oppure non applicano quelle che hanno" (Mintzes, 1998)53. Occorre te nere ben presenti le possibili implicazioni di questa situazione in previsione di un allargamento della Comunità Europea (e degli impegni della Comunità per lo Sviluppo e le Relazioni Esterne)54.
Una risposta preliminare
Il G10 sta ora cercando di formulare una definizione che distingua "la pubblicità" dall'"informazione che accresce la conoscenza dei pazienti". Sembra poco probabile che si possa mai arrivare ad una distinzione chiara, soprattutto quando la stessa Legislazione Comunitaria prevede che la pubblicità "promuova l'uso razionale del farmaco, presentandolo in modo oggettivo senza esagerarne le proprietà". Ed è anche una pia illusione pensare di poter contare sul fatto che le Aziende si attengano agli standard proposti dal G10. "Una informazione di buona qualità per i pazienti dovrebbe avere le seguenti caratteristiche":
Prendere spunto dalle domande dei pazienti
Essere finalizzata alle cose che interessano i pazienti e a chiarire le false convinzioni
Fare riferimento a tutte le opzioni di trattamento e di gestione generale del problema
Informare in modo onesto sia sui benefici che sui possibili danni
Includere, dove possibile, valutazioni quantitative
Includere una lista di domande importanti da rivolgere al medico
Suggerire fonti per un eventuale approfondimento
Utilizzare un linguaggio né troppo allarmistico né troppo entusiasta, in termini positivi piuttosto che negativi
Essere ben impostata, in forma compiuta, concisa e con buone illustrazioni
Sia l'autore che lo sponsor devono essere chiaramente identificabili
Includere le referenze bibliografiche e la forza dell'evidenza
Indicare la data di pubblicazione.
Standard di questo tipo raramente vengono raggiunti persino nella letteratura professionale di migliore qualità, compresa la maggior parte degli studi clinici. Sembra davvero poco credibile che si possa contare su un'informazione oggettiva e senza esagerazioni, che promuova l'uso razionale dei farmaci, quando a farla è un'azienda che sta lottando per la sua sopravvivenza.
La Commissione potrebbe fare molto per dare, attraverso l'informazione, più potere ai consumatori, consentendo l'accesso alla gran messe di dati che vengono presentati per la registrazione dei farmaci e per la loro valutazione normativa. Per la verità, nella Rassegna Farmaceutica esiste una proposta perché questi dati siano resi disponibili in maggior quantità, ma è formulata in modo tale che le vere intenzioni rimangono del tutto oscure55.
La versione rivista della definizione di 'pubblicità' proposta nell'Articolo 86(1), sembra essere migliorata dall'aggiunta di un riferimento ad un'informazione che promuova "la conoscenza della disponibilità" del prodotto56. Tuttavia, già il termine 'pubblicità' di per sé è inutilmente restrittivo, poiché non comprende tutta una vasta gamma di attività (ad esempio le pubbliche relazioni, le comunicazioni sponsorizzate), che sono importantissime per il marketing del prodotto e che andrebbero previste. E' la promozione in generale che deve essere controllata ossia "tutte le attività informative e persuasive" messe in atto dai produttori e dai loro agenti di vendita "il cui effetto sia quello di indurre la prescrizione, l'offerta, l'acquisto e/o l'impiego di farmaci". Si potrebbe migliorare l'applicazione di standard appropriati precisando in modo dettagliato che tipo di informazione si vuole, prevedendo anche formalmente che, dietro richiesta specifica, le affer mazioni che si fanno debbano essere provate (OMS, 1988)57.
A giudicare dalle apparenze (e considerando quali pressioni sono state fatte sul DG Enterprise), le proposte della Commissione potrebbero essere un compromesso ragionevole anche se è impresa ardua fare affidamento su di loro. Sembra poco credibile ad esempio che la Commissione possa essere in grado di limitare, per un periodo di 5 anni, questo esperimento di marketing rivolto ai consumatori solo a tre patologie (AIDS, asma, diabete), così come proposto. Una volta stabilito il principio, la Commissione non potrà in nessun modo ostacolare le richieste "di essere più informati" provenienti da ogni tipo di organizzazioni di pazienti. Alcune, senza dubbio, staranno già aspettando dietro le quinte, con i gruppi sponsorizzati in prima fila.
E' deludente trovare così scarse testimonianze di ciò che la Commissione pensa su temi tanto importanti per la proposta contenuta nella Rassegna Farmaceutica. Un punto critico è: la Commissione intende consentire la pubblicità dei farmaci da prescrizione col nome di fantasia della specialità? In questo caso, la Commissione potrebbe evitare di parlare di educare i pazienti. A cosa è mai servito pubblicizzare il nome commerciale di un farmaco per la crescita degli standard professionali o per il miglioramento degli standard della sanità? Se invece l'intenzione dell'Articolo 88(2) è quella di favorire un tentativo onesto di informare i pazienti/consumatori, ogni riferimento ai farmaci deve essere fatto utilizzando la denominazione comune o con il nome della specialità scritto con un carattere piccolissimo.
Un altro punto chiave, non menzionato nel corso delle consultazioni del DG Enterprise, è quale controllo sia previsto sulla "autorizzazione al marketing". Alle aziende sarà permesso pubblicizzare i farmaci anche a quei consumatori che non ne hanno fatto richiesta in modo diretto e specifico? Se alle aziende fosse concesso di inviare messaggi pubblicitari sui farmaci indiscriminatamente a tutti coloro che hanno (o non hanno) barrato la casellina di richiesta di ulteriori informazioni di carattere generale su di una determinata malattia o un possibile trattamento ad esempio in risposta ad un articolo apparso su di una rivista - sarebbe garantita una rapida proliferazione della pubblicità rivolta ai consumatori.
In generale, l'analisi della Commissione non sembra né avere solide basi né essere realistica. L'enfasi posta sulle esigenze del commercio sembra eccessiva così come la mancanza di un punto di vista sanitario. Le decisioni vengono prese per lo più a porte chiuse e se da un lato ci si consulta disinvoltamente con l'industria, dall'altro si attribuisce poca importanza al dialogo con le altre parti interessate. Esistono inoltre le basi per sospettare fortemente che le organizzazioni di pazienti più massicciamente sponsorizzate abbiano avuto (e avranno in futuro) una influenza eccessiva nei processi decisionali.
Siamo convinti che non si potranno trovare risposte soddisfacenti fino a quando non si saranno affrontate alcune questioni più profonde. Forse la più importante riguarda la collocazione della legislazione sui farmaci nell'ambito dell'Unione Europea: gli aspetti commerciali e sanitari sono entrambi importanti, ma quali hanno la precedenza? I farmaci sono soprattutto un problema commerciale o un problema sanitario che ricade sotto le competenze di questa o di quella Direzione Generale? Noi non riusciamo a condividere il grande ottimismo che sembra trasparire dai termini utilizzati dal G10 il cui compito principale è quello di "riesaminare quanto le attuali politiche farmaceutiche, sanitarie e commerciali riescano a conseguire due obiettivi 'gemelli', da un lato quello di incoraggiare l'innovazione, dall'altro di assicurare una soddisfacente erogazione di servizi sanitari e sociali".
E' a dir poco bizzarro definirli obiettivi gemelli come se il successo dell'industria farmaceutica andasse naturalmente di pari passo con il miglioramento della salute. Perché il documento di consultazione del G10 non sollecita alcuna discussione su temi come i costi e la qualità dell'innovazione, la commercializzazione dei farmaci a tempi da record, il rischio della medicalizzazione, della sponsorizzazione e della dipendenza?
La natura del conflitto tra le esigenze della sanità e quelle del commercio non è ancora stata affrontata nel modo appropriato. Cinque membri della Task Force hanno responsabilità ufficiali nel campo della Salute nei rispettivi paesi; è il momento che da parte loro venga qualche contributo che li distingua58. La Comunità Europea è veramente intenzionata a investire nell'innovazione puntando su una forte industria farmaceutica e se sì, a quali condizioni? Cos'altro si potrebbe fare per la salute con 500 milioni di dollari il costo stimato dall'Industria per sviluppare un singolo nuovo farmaco? La Comunità Europea dovrebbe investire denaro in future promesse, speranze e sogni - o preoccuparsi di più delle priorità e delle necessità presenti e future? Quante cose in più si potrebbero fare per la salute utilizzando in modo più efficace le conoscenze e le tecnologie di cui oggi disponiamo?
Questi temi necessitano di una valutazione a tutto campo con un livello di approfondimento maggiore di quello che l'attuale programma di lavoro legislativo consente. Ciò che la Commissione deciderà cambierà il volto della medicina, che potrà essere descritta o come un mercato più "sano" o come un grande "affare" nel campo della salute. Non c'è dubbio che le proposte della Commissione, qualora venissero attuate, aprirebbero la strada all'introduzione della pubblicità sui farmaci direttamente ai consumatori. Una volta aperta questa porta, non si riuscirà più a richiuderla.
Bibliografia
La bibliografia è parte integrante del testo, lo amplia e lo completa. Se ne raccomanda perciò la lettura.
1) Horrobin DF. Innovation in the pharmaceutical industry. Journal of the Royal Society of Medicine, July 2000; 93: 341-345. L'autore è un ricercatore con grande esperienza nel campo della ricerca di nuovi farmaci. 2) Michaels A, Pfizer R & D. Unable to sustain group growth rate. Financial Times, 12 September 2001, 30. 3) Questo è un punto controverso: alcuni studi suggeriscono che, con l'aumentare del budget investito in Ricerca & Sviluppo, la produttività in termini di innovazione diminuisca, altri dimostrano il contrario. La ragione dipende in gran parte da cosa si intende per innovazione e se si misura il beneficio in termini economici o sanitari. Altre variabili confondenti che contribuiscono alla discordanza fra le varie analisi sono le ripetute fusioni fra le aziende, il contesto normativo e il periodo di tempo a cui si fa riferimento. Certamente non è stato dimostrato che un budget più elevato per Ricerca & Sviluppo abbia una maggiore efficienza. Per una rassegna completa vedi: Ben-Asher D. In need of treatment? Merger control, pharmaceutical innovation and consumer welfare. Journal of Legal Medicine, 2000; 21: 271-349. 4) Harris G. Drug Firms Stymied in the Lab, Become Marketing Machines, Wall Street Journal, 6 July 2000. See also: Jenkins JW: Is advertising the new wonder drug? Wall Street Journal, 25 March, 1998. 5) Jeffries M. The Mark of Zorro, Pharmaceutical Marketing, May 2000, 4-5. 6) Questo aspetto viene riconosciuto, anche se scarsamente sviluppato in tutte le principali analisi utilizzate dalla Comunità Europea (DG Enterprise): "In generale, la spesa complessiva per farmaci è aumentata a causa dell'introduzione di nuove terapie, del maggior costo che i vari sistemi assicurativi devono sostenere, dell'utilizzo di farmaci nuovi ad alto costo al posto di farmaci già esistenti poco costosi e, soprattutto negli Stati Uniti, di un marketing più aggressivo da parte dei produttori con la pubblicità rivolta direttamente ai consumatori (Gambardella et al. 2000, vedi oltre). Questo riferimento alla pubblicità rivolta direttamente ai consumatori viene attribuito a Scanlon WJ (Testimonianza resa prima del Sottocomitato per la Salute, Commissione Legislativa per il Reperimento di Fondi, Camera dei Deputati): Adapting private sector management methods for a Medicare benefit. US General Accounting Office, 11 maggio 2000. Il GAO, per contro, ha fatto affidamento sulle ricerche del National Institute for Health Care Management (2000). "I 25 farmaci che hanno maggiormente contribuito alla crescita delle vendite nel 1999 sono responsabili del 40,7% dei 17,7 miliardi di dollari di aumento complessivo della spesa. La maggior parte di questi farmaci è stata intensamente pubblicizzata al pubblico e ha registrato una forte crescita nelle vendite complessivamente il 43% in un solo anno. Per contro, la crescita nelle vendite di tutti gli altri farmaci da prescrizione dal 1998 al 1999 è stata del 13,3%. "Il National Institute for Health Care Management (NHICM) ha riportato dati simili per il 2000. L'aumento delle vendite dei 50 farmaci più intensamente reclamizzati presso i consumatori è responsabile di quasi il 50% dei 20,8 miliardi di dollari di aumento della spesa farmaceutica negli Stati Uniti. Il rimanente aumento è dovuto alla prescrizione dei 9850 farmaci che le aziende non pubblicizzano o pubblicizzano molto poco. NIHCM, Prescription Drugs and Mass Media Advertising, 2000, a research report by The National Institute for Health Care Management Research and Educational Foundation, 20 November 2001. See www.nihcm.org. 7) Online report: www.imshealth.com/public/structure/dispconÉ/1,27 79, 1000-1000-143299,00.htm The Upswing in Blockbuster Drugs", 7 October 2001. 8) OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), Health Data 2001, www1.oecd.org/els/health/software/fad.htm - Tabella 18: Total health care coverage, % of population. 9) Blair T. Foreword by the Prime Minister, Pharmaceutical Industry Competitiveness Task Force, Final report, March 2001. Available at www.doh.gov.uk/pictf/index.htm 10) "La Task Force sulla Competitività dell'Industria Farmaceutica (PICTF) è stata istituita dal Primo Ministro nel marzo 2000 per verificare cosa occorresse fare perché la Gran Bretagna rimanesse per l'Industria Farmaceutica un paese conveniente in cui investire per Ricerca & Sviluppo in un contesto commerciale sempre più competitivo". Department of Health, Science and Innovation Strategy, September 2001. 11) Le ultime due aziende si sono successivamente fuse, dando luogo alla GlaxoSmithKline 12) Hunt P, McKillop T (co-presidenti) Pharmaceutical Industry Competitiveness Task Force, Final report, March 2001. Available at www.doh.gov.uk/pictf/index.htm 13) "Il gruppo dei 10 (G10) è stato istituito con la finalità di riunire chi ha le massime responsabilità decisionali nel campo dei farmaci a livello della Comunità Europea". Di fatto è composto da 12 membri: il gruppo comprende infatti il Commissario Europeo per le Imprese (Commissioner for Enterprise, Liikanen), quello per la Salute (Byrne), un ministro del Commercio (Svezia), tre ministri della Sanità (Gran Gretagna, Germania, Portogallo), tre rappresentanti dell'industria farmaceutica e uno in rappresentanza dei produttori di farmaci generici, un rappresentante delle assicurazioni sanitarie non-profit e un rappresentante a tutela della salute dei consumatori. 14) "Viene ormai ampiamente riconosciuto che solo una piccola parte dei farmaci nuovi o modificati commercializzati attualmente rappresenta un progresso medico importante. Alcuni sono semplicemente copie "me-too" di farmaci già esistenti che non offrono alcun importante passo avanti oppure che apportano miglioramenti marginali di carattere molto tecnico". Belcher PJ (Chambers BR, Ed), Analysis of Issues and Trends in the EU Pharmaceutical Sector, Environment, Public Health and Consumer Protection Series E-1, External Study, The European Parliament, Directorate General for Research, Marzo 1994. 15) "Solo il 22% dei farmaci approvati negli Stati Uniti dalla FDA dal 1982 al 1999 rappresenta un importante progresso terapeutico". Tra il 1982 e il 1991, la FDA ha approvato 258 'nuove entità chimiche'. Di queste 137 (53%) sono state definite "di scarso o nullo valore terapeutico", 80 (31%) "di modesto valore terapeutico" e 41 (16%) hanno rappresentato un "progresso terapeutico importante". Si è introdotto allora un nuovo, discutibile, sistema di classificazione, meno rigido, che prevedeva, per i farmaci da registrare, una distinzione fra quelli da valutare con procedura "standard" e quelli con procedura "prioritaria". Dal 1992 al 1999, per 170 (23%) farmaci si è proceduto ad una valutazione prioritaria (trattandosi di farmaci che "rappresentavano un avanzamento significativo rispetto a quelli già in commercio...) e per 560 (77%) ad una valutazione standard (trattandosi di farmaci che "sembravano possedere caratteristiche terapeutiche simili a quelle di uno o più farmaci già disponibili in commercio"). Vedi Public Citizen (Washington DC), Rx R & D Myths: the case against the Drug Industry's R & D "Scare Card", 23 July 2001. www.citizen.org/congress/drugs/R&Dscarecard.html 16) Prescription Drugs and Intellectual Property Protection Finding the Right Balance between Access and Innovation, Issue Brief, (Washington DC: National Institute for Health Care Management and Educational Foundation, agosto 2000). 17) Dei 2254 farmaci presi in esame dal 1981 al 2000 da La Revue Prescrire, una rivista di informazione indipendente sui farmaci, solo 74 (3,3%) sono stati ritenuti un progresso terapeutico importante. (A look back at 2000: overabundance and deregulation. Prescrire International 2001, 10: 52-4). 18) Gambardella A, Orsenigo L, Pammolli F. Global competitiveness in pharmaceuticals, An European perspective, report prepared for the Directorate-General Enterprise of the European Commission (2000), available at pharmacos.eudra.org/F3/g10/p3.htm 19) "Praticamente non è stato studiato alcun farmaco nuovo destinato al trattamento delle malattie che affliggono i poveri". Vedi: Mèdecins Sans Frontières: Fatal Imbalance The Crisis in Research and Development for Drugs for Neglected Diseases, Brussels: MSF Internationl, 9 October 2001. 20) DTC Developments in Health, IMS News report, 3 February 2000. Accessed at www.ims-global.com/insight/news_story/news_story000203a.htm, 08/01/01. 21) Public Citizen (Washington DC), Rx R&D Myths: the case against the Drug Industry's R&D "Scare Card", 23 July 2001.
www.citizen.org/congress/drug/R&Dscarecard.html 22) La Commissione (DGIII Industry) ha fatto un breve riferimento ad "un approccio più flessibile nei confronti della pubblicità diretta ai consumatori" nel corso dell'intervento tenuto alla seconda "Bangemann Round Table" annuale. L'Industria Farmaceutica ha sponsorizzato e ospitato questo evento. Second Round Table, Completing the Single Pharmaceutical Market, Frankfurt, 8 December 1997. 23) Evaluation of the operation of Community procedures for the authorisation of medicinal products, Evaluation carried out on behalf of the European Commission by Cameron
McKenna and Andersen Consulting, European Commission, Directorate General Enterprise, Pharmaceuticals and Cosmetics, 2000. 24) Update for EU advertising rules, SCRIP No2378, 14 October 1998, 4; EC to reconsider advertising rule, ERA News No 80, November 1998. 25) www.tabd.org 26) Pharmaceutical Products: Community Code relating to medicinal products for human use, European commission proposal to the European Parliament, presented 28 June 1999. 27) Information on the outcome of the 47th meeting of the Pharmaceutical Committee, 15-16 April 1999. 28) Working group on information/advertising, briefing paper PHARM 275, 48th Pharmaceutical Committee meeting, 27-28 September 1999. 29) Medawar C.: The DTCA Manifesto, "DTCA the Unhealthy Pursuit of Health!" Development Dialogue (Dag Hammarskjold Foundation), 2000, 1-2, 84-94. Because you're work it, Health Matters 43, Winter 2000/2001, 7-9. Vedi inotre: Prescription Drugs: Direct advertising? (Guest editorial), International Journal of Risk & Safety in Medicine, 13,2000,81-86. See also Social Audit letter to P Brunet, 14 July 2000, at
www.socialaudit.org.uk/5111-002.htm#Dear 30) PICTF, 2001, paragrafo 2.45. 31) Al paragrafo "Informazione e protezione dei pazienti Possibili strategie per il futuro" il documento consultivo del G10 suggerisce (2.7) "Deve essere consentito ai pazienti che desiderano informa zioni sui prodotti di una ditta accedere direttamente al suo sito internet, a condizione che l'informazione lì riportata sia conforme agli standard sotto evidenziati...". Di seguito vengono quindi elencati i criteri riportati nel paragrafo "Una risposta preliminare" di questo documento. L'assurdità di tali suggerimenti è evidente: anche semplicemente sul piano dei diritti civili non c'è nulla che la Commissione Europea possa o debba fare per impedire che la gente acceda direttamente alle informazioni dell'industria, compresa la gran mole di informazioni già ora disponibili che sono ben al di fuori degli standard che il G10 ha in mente. Se ci provasse, certamente (e a ragione), fallirebbe. 32) Come sfida nei confronti di abusi ovvi e protratti, gli editori di alcune delle riviste mediche più importanti a livello mondiale hanno adottato recentemente una posizione comune per rendere pubbliche le informazioni in merito alla provenienza e alla validità degli articoli sottoposti per la pubblicazione e a possibili conflitti di interessi. Sarebbe troppo aspettarsi che le fonti di informazioni destinate al pubblico facessero la stessa cosa. Vedi: Davidoff F.: Sponsorship, authorship, and accountability, Lancet, 15 September 2001, 358: 854-856. 33) Thomas L.: The Medusa and the Snail, New York: Bantam, 1980. 34) Vedi www.socialaudit.org.uk/5106-002.htm#REPORT 35) E Liikanen, Commission's proposals to review pharmaceutical legislation. DG Enterprise Speech/01/354/European Commission Press Conference, 18 July 2001. 36) DG Enterprise, Pharmaceutical Legislation Review, Article 88(2), European Commission, 18 July 2001. 37) La richiesta di HAI di partecipare a questo meeting è stata rifiutata, sebbene HAI abbia da tempo dimostrato il suo interesse nei confronti dei temi oggetto della discussione, riconoscendone la grande importanza. Vedi ad esempio: Mintzes B.: Blurring the Boundaries: new trends in drug promotion (Amsterdam: Health Action International, 1998). 38) Brunet P.: letter to Bas van der Heide, Coordinator, Health Action International, 4 July 2000. 39) Nei dati biografici pubblicati a fianco di un articolo del 1998 che Elgie ha scritto per la Pfizer si legge: "Rodeney Elgie ha avuto una ventennale carriera nel settore privato. E' divenuto membro della Depression Alliance nel 1992 ed ha prestato i propri servizi presso il Charity's Executive Committee come consulente legale onorario. E' stato nominato Direttore Esecutivo della Depression Alliance all'inizio del 1995 e ha guidato l'enorme crescita sia delle entrate in beneficenza sia delle adesioni di gruppi di aiuto di pazienti. Ha sovrinteso alla creazione di uffici regionali in Galles e Scozia a alla nomina di numerosi membri. Rodney è attualmente il presidente della National Depression Campaign in Gran Bretagna e collabora con svariati Comitati nell'ambito della salute mentale. E' membro della Task Force della International Association of Patient Organizations e componente di spicco del GAMIAN Europeo. Tiene conferenze in tutt'Europa e il suo interesse principale è rivolto a dare impulso ad un'assistenza incentrata sul paziente, istituendo corsi di formazione per operatori sanitari e cittadini". (www.pfizerforum.com/authors/elgiebio.shtml). Elgie è stato espulso dall'Albo degli Avvocati per gestione imprudente e disonesta dei capitali dei clienti. Findings and Order of the solicitors' Disciplinary Tribunal, Case no 5905/1990/4817, 18 Feb 1991). 40) Il capo esecutivo dell'International Association of Patient Organization (IAPO) è anche membro del Board of the Picker Institute, il cui CEO è l'unico rappresentante dei consumatori dentro il G10. 41) Silverstein K, www.motherjones.com/mother_jones/ND99.NAMI.html, Prozac.org, MOJOwire magazine, Nov-Dec 1999. 42) Gerth G, Stolberg SG.: Drug industry has ties to groups with many different voices, New York Times, 5 Oct 2000. 43) Anne Bülow-Olslen (Chair, Danish Migraine Association), personal communication, November 2000. 44) Boseley S., Drug firm asks public to insist NHS buys its product, The Guardian, 29 September 1999. 45) A questo proposito, sul sito www.socialaudit.org.uk è disponibili una lunga corrispondenza (1999-2001) sia con l'Agenzia per il Controllo dei Farmaci che con l'Associazione dei Pazienti. 46) Vale la pena evidenziare le espressioni utilizzate nel documento di consultazione del G10 (settembre 2001), che propone "alcuni suggerimenti sul modo di procedere". Le proposte del G10 "non sono state condivise da tutti i membri del gruppo" ... "questo documento non ha la finalità di riassumere tutti i temi che sono stati sollevati ...e le affermazioni contenute in questo documento non riflettono la politica della Commissione Europea né quella di altri membri del G10...". 47) G10 Medicines: High level group on innovation and provision of medicines: Consultation paper, September 2001, paragraphs 2.2 and 2.4. 48) Si tratta di "ingenuità"? Il problema di fondo qui è che dovrebbe essere ovvio che l'industria farmaceutica è costituzionalmente incapace di fornire informazioni di buona qualità secondo gli standard proposti dal G10. Nessuna azienda sopravviverebbe a lungo se lo facesse. Questo non ha nulla a che fare con la moralità come un gatto non è immorale perché è geneticamente programmato per cacciare un topo o un uccellino. La necessità di promuovere i propri prodotti è dettata dall'istinto di sopravvivenza. I propri prodotti rappresentano il cuore dell'azienda soprattutto quelli ad alto fatturato che attualmente sostengono l'industria farmaceutica. Sono oggetti assolutamente preziosi, trattati come tali e su di essi si punta molto ricorrendo inesorabilmente e massicciamente a risorse immense. All'interno dell'azienda nei confronti dei prodotti esiste un sistema di valori che tende sempre a presumere che il beneficio trionfi sul rischio. Le prospettive, la posizione, l'organizzazione e l'attività dell'azienda sono consacrate all'idea che i prodotti sono buoni e le critiche cattive. Lavorare nell'ambito dell'industria farmaceutica richiede questa impostazione mentale e questo non può far altro che riflettersi nel modo di comunicare con i consumatori. 49) Aitken M., Holt F.: A prescription for direct drug marketing, The McKinsey Quarterly, 22 March 2000, 82. 50) Nel 1998 il Ministero della Sanità neozelandese ha ordinato che venisse condotta una inchiesta sulla pubblicità rivolta ai consumatori dal momento che le verifiche suggerivano che 2/3 dei messaggi pubblicitari indirizzati alla gente non si attenevano al codice di autoregolamentazione volontario dell'industria. Una indagine più recente (1999-2000), successiva ad un periodo di prova, ha riscontrato un miglioramento: 1 messaggio promozionale su 3 continua tuttavia a non rispettare il codice. Questo ha portato le aziende a proporre che venga effettuata, a proprie spese, una verifica preliminare della pubblicità (proposta adottata nel novembre 2000). In seguito ad una revisione più recente, il Ministero della Sanità Neozelandese ha raccomandato che "di rendere più severe le norme che regolano la pubblicità rivolta ai consumatori, per assicurare che i messaggi promozionali diano ai consumatori una informazione equilibrata". NZ Department of Health: Direct-to-consumer advertising rules will become stricter, Press release, 14 August 2001). 51) Vedi referenza 33. 52) Questa indagine ha portato alle seguenti conclusioni: "Sempre più spesso la pubblicità sui farmaci da prescrizione è indirizzata direttamente ai consumatori. Per contro i medici devono sempre di più confrontarsi con pazienti che fanno domande o che danno suggerimenti in base a queste informazioni pubblicitarie. Speriamo che la nostra indagine abbia dato ai medici il senso di ciò che la pubblicità comunica ai consumatori. Dalle nostre rilevazioni emerge che questa pubblicità raramente quantifica il beneficio che il paziente si può attendere dal farmaco e invece fa leva sulla sua emotività. Grazie a questa strategia, probabilmente molti lettori hanno la percezione che il farmaco offra un beneficio importante a tutti i pazienti che lo assumono. Dal momento che gli standard della FDA sono orientati ad un informazione che sia veritiera ed equilibrata ma non prevedono con quali modalità debba essere presentata, i nostri risultati non destano sorprese. Una informazione completa sui benefici dei farmaci sarebbe utile sia ai medici che ai cittadini" Woloshin et al., Direct-to-consumer advertisements for prescription drugs: what are consumers being sold, Lancet, 6 October 2001, 358: 1141-1146.
Da una revisione dettagliata effettuata dalla Consumers' Association sono emersi risultati simili: "questa ricerca ha messo in evidenza numerosi studi che hanno riscontrato, negli Stati Uniti, una elevata percentuale di messaggi pubblicitari scorretti e potenzialmente fuorvianti. Inoltre, l'attività promozionale per lo più tende a creare un rapporto di fedeltà alla specialità e alla ditta; non si riesce perciò a capire come una informazione siffatta possa servire ai pazienti per decidere in merito al trattamento". Promotion of Prescription Drugs: public health or private profit? London: Consumer Association, 2001. 53) Mintzes B.: Blurring the boundaries: new trends in drug promotion, Amsterdam: Haelth Action International, 1998. 54) Nella prospettiva di un Allargamento della Comunità Europea e per l'impegno dell'Unione Europea per lo sviluppo mondiale, è necessario che questi fattori vengano tenuti in considerazione. Ciò che l'Unione Europea deciderà sul marketing rivolto ai consumatori avrà grande influenza sulle decisioni che verranno prese altrove. 55) L'Articolo 21(4) si occupa della divulgazione dell'informazione, eccetto quella "di natura confidenziale sotto il profilo commerciale". Quasi tutte le "cattive" informazioni sui farmaci potrebbero ricadere in questa eccezione: il termine è privo di senso fino a quando non viene definito. Le buone leggi sulla Libertà dell'Informazione prevedono che si valuti il danno che può venire arrecato diffondendo una informazione rispetto al diritto di conoscenza nel pubblico interesse. Sembra giusto invece che non vengano divulgati segreti commerciali legittimi (il complesso delle conoscenza possedute all'interno dell'azienda) o le informazioni che possano causare all'azienda danni significativi. 56) L' "informazione porta a porta" e l' "attività di propaganda", a cui si fa ampiamente riferimento, sembrano quasi cose d'altri tempi nell'era di internet. 57) Organizzazione Mondiale della Sanità: Criteri Etici per la pubblicità sui farmaci (Ginevra, OMS 1988). L'articolo 7 cita ad esempio che tutte le affermazioni "dovrebbero essere affidabili, accurate, veritiere, informative, equilibrate, dovrebbero poter essere dimostrate ed essere espresse con buon gusto. Non dovrebbero contenere informazioni fuorvianti o non verificabili o omissioni che possano indurre un uso del farmaco ingiustificato dal punto di vista medico o esporre ad un rischio eccessivo...". 58) Ci sono Ministri della Sanità e Ministri della Sanità e le loro opinioni a volte sono ben diverse. Il rappresentante della Gran Bretagna al G10, Lord Hunt, riveste la duplice posizione di co-presidente della UK Pharmaceutical Industry Competitiveness Task Force e di Ministro della Sanità responsabile della sicurezza, dell'autorizzazione all'immissione in commercio e della regolamentazione dei farmaci. Il governo inglese non vede alcun apparente conflitto fra le esigenze del commercio e quelle della salute né sembra che ciò desti molta preoccupazione, come dimostra la composizione del G10 o il suo mandato. Vedremo ciò che il G10 sarà in grado di produrre.