- Il trattamento sintomatico di:
- sedazione
- nausea e vomito
- stipsi
- depressione respiratoria
- prurito
- ritenzione urinaria
- edema polmonare non-cardiogeno
- neurotossicità - La riduzione della dose
- La rotazione degli oppiacei
- Il cambiamento della via di somministrazione
- Conclusioni
- Bibliografia
Introduzione
Gli oppiacei svolgono un ruolo terapeutico insostituibile nella terapia del dolore, specie in quello cronico causato dal cancro. Malgrado ciò, sono sotto gli occhi di tutti gli ostacoli che l'impiego di tali farmaci incontra nel nostro paese. Questa situazione è stata più volte denunciata, senza però che ad oggi sia stato trovato un rimedio, forse perché non esiste una spiegazione unica per un simile, errato, atteggiamento. I fattori che possono scoraggiare un esteso e corretto impiego degli oppiacei sono, infatti, numerosi, a partire da quelli che chiamano direttamente in causa il medico prescrittore. In primo luogo la scarsa conoscenza delle proprietà farmacologiche e delle modalità d'uso di questi farmaci e la paura dei potenziali effetti indesiderati associati al loro impiego in pazienti particolarmente "fragili". Questi due fattori agiscono in modo sinergico; la scarsa conoscenza, impedendo la messa in atto di misure profilattiche e/o terapeutiche in grado di controllare e/o impedire la comparsa di effetti indesiderati; la comparsa degli effetti indesiderati, agendo come deterrente ad una prescrizione diffusa.
Scopo di questo articolo è duplice: innanzitutto quello di illustrare le caratteristiche fondamentali degli eventi avversi, più o meno noti, degli oppiacei in modo da accrescere nel medico la conoscenza specifica del loro rapporto beneficio/rischio e quindi la confidenza nel loro impiego; in secondo luogo, quello di indicare l'approccio ottimale al trattamento e/o alla prevenzione degli effetti indesiderati stessi. Gli eventi avversi più frequenti indotti dagli oppiacei impiegati nel trattamento del dolore cronico da cancro sono riassunti nella Tabella 1.
La prevenzione e il loro trattamento ottimale costituiscono ancora oggi un problema clinico tutt'altro che risolto, a causa di almeno tre fattori:
Scopo di questo articolo è duplice: innanzitutto quello di illustrare le caratteristiche fondamentali degli eventi avversi, più o meno noti, degli oppiacei in modo da accrescere nel medico la conoscenza specifica del loro rapporto beneficio/rischio e quindi la confidenza nel loro impiego; in secondo luogo, quello di indicare l'approccio ottimale al trattamento e/o alla prevenzione degli effetti indesiderati stessi. Gli eventi avversi più frequenti indotti dagli oppiacei impiegati nel trattamento del dolore cronico da cancro sono riassunti nella Tabella 1.
La prevenzione e il loro trattamento ottimale costituiscono ancora oggi un problema clinico tutt'altro che risolto, a causa di almeno tre fattori:
- la mancanza di studi comparativi tra i vari approcci preventivi o terapeutici possibili;
- la rilevante variabilità interindividuale rispetto alla comparsa e alla entità di questi effetti indesiderati;
- la difficoltà che talora si incontra nell'attribuire sintomi accusati dal paziente all'oppiaceo piuttosto che alla comorbilità quasi sempre presente nel paziente oncologico (v. Tabella 2).
A questo proposito va tenuto presente che il primo approccio al paziente che manifesta segni o sintomi compatibili con un effetto avverso da oppiacei deve essere sempre quello di porre in diagnosi differenziale altre possibili cause (comorbilità). Ciò è tanto più vero se questi segni o sintomi si manifestano in un paziente con terapia analgesica stabile e ben controllato nella sintomatologia algica, condizione che fa pensare ad altre possibili concause.
Quattro sono gli approcci possibili al trattamento degli effetti indesiderati: il loro trattamento sintomatico; la riduzione della dose; la sostituzione o rotazione degli oppiacei; e infine l'utilizzo di vie di somministrazione diverse. Esamineremo separatamente queste diverse strategie anche se nella pratica clinica vengono spesso utilizzate in combinazione tra loro.
Quattro sono gli approcci possibili al trattamento degli effetti indesiderati: il loro trattamento sintomatico; la riduzione della dose; la sostituzione o rotazione degli oppiacei; e infine l'utilizzo di vie di somministrazione diverse. Esamineremo separatamente queste diverse strategie anche se nella pratica clinica vengono spesso utilizzate in combinazione tra loro.
Il trattamento sintomatico
La sedazione
La sedazione è l'effetto indesiderato più comune, dose-correlato, ma è anche un effetto facilmente prevedibile, in genere modesto per intensità e durata. Esistono, infatti, dati che documentano come la compromissione delle capacità cognitive e psicomotorie dei pazienti con cancro trattati con dosi stabili di oppiacei non siano così rilevanti come si è portati a credere. La sonnolenza osservata in questi pazienti talora può essere addirittura l'espressione di una benefica attenuazione del dolore dopo notti di sofferenza e insonnia a causa del dolore stesso.
Un paziente trattato con oppiacei che presenta una sedazione eccessiva (sonnolenza o confusione mentale) va comunque sempre accuratamente valutato per distinguere un effetto depressivo a carico del SNC dovuto ad una dose eccessiva di oppiacei da quello indotto da altre cause. Dosi troppo alte di oppiacei sono in genere dovute ad un incremento troppo consistente e rapido della dose inizialmente prescritta, in quanto l'effetto analgesico ottenuto con il dosaggio precedente risultava inadeguato. Meno frequentemente sono da imputare ad un accumulo di metaboliti attivi in caso di insufficienza renale. Quest'ultima evenienza in modo particolare va tenuta presente in quanto una riduzione della funzionalità renale spesso può essere dovuta alla concomitante prescrizione, sempre a scopo antalgico, di un FANS. I FANS notoriamente possono ridurre il flusso plasmatico renale e di conseguenza causare un accumulo dei farmaci oppiacei e dei loro metaboliti.
Altri fattori, però, vanno presi in considerazione per spiegare una eccessiva sedazione. Tra questi, alcuni stati morbosi frequentemente diagnosticati nei pazienti con cancro e l'interazione con altri farmaci (v. Tabella 2). Tra i primi vanno ricordati l'iponatriemia, la disidratazione, l'ipercalcemia e la sepsi; tra i secondi tutti i farmaci ad azione depressiva sul sistema nervoso centrale, in particolare benzodiazepine e antidepressivi che trovano spesso indicazione nel paziente oncologico come farmaci adiuvanti per il controllo dell'emesi e per il trattamento del dolore neuropatico.
Una volta chiarita la causa della eccessiva sedazione si potranno mettere in atto le opportune strategie terapeutiche, che possono consistere nella semplice riduzione, ove possibile, della dose prescritta o nella correzione dei fattori che hanno contribuito al manifestarsi della sedazione eccessiva (es. trattamento delle turbe metaboliche o dell'infezione). Talora, però, può rendersi necessaria la sospensione dell'oppiaceo che andrà sostituito con altri analgesici o farmaci adiuvanti. In caso di sovradosaggio è opportuno evitare comunque la somministrazione di naloxone per evitare la precipitazione di una sindrome dolorosa acuta, fatta eccezione per la presenza di chiari segni di depressione respiratoria. Non consigliabile, in quanto ancora poco studiato e con risultati controversi, è l'impiego di farmaci psicostimolanti.
La sedazione è l'effetto indesiderato più comune, dose-correlato, ma è anche un effetto facilmente prevedibile, in genere modesto per intensità e durata. Esistono, infatti, dati che documentano come la compromissione delle capacità cognitive e psicomotorie dei pazienti con cancro trattati con dosi stabili di oppiacei non siano così rilevanti come si è portati a credere. La sonnolenza osservata in questi pazienti talora può essere addirittura l'espressione di una benefica attenuazione del dolore dopo notti di sofferenza e insonnia a causa del dolore stesso.
Un paziente trattato con oppiacei che presenta una sedazione eccessiva (sonnolenza o confusione mentale) va comunque sempre accuratamente valutato per distinguere un effetto depressivo a carico del SNC dovuto ad una dose eccessiva di oppiacei da quello indotto da altre cause. Dosi troppo alte di oppiacei sono in genere dovute ad un incremento troppo consistente e rapido della dose inizialmente prescritta, in quanto l'effetto analgesico ottenuto con il dosaggio precedente risultava inadeguato. Meno frequentemente sono da imputare ad un accumulo di metaboliti attivi in caso di insufficienza renale. Quest'ultima evenienza in modo particolare va tenuta presente in quanto una riduzione della funzionalità renale spesso può essere dovuta alla concomitante prescrizione, sempre a scopo antalgico, di un FANS. I FANS notoriamente possono ridurre il flusso plasmatico renale e di conseguenza causare un accumulo dei farmaci oppiacei e dei loro metaboliti.
Altri fattori, però, vanno presi in considerazione per spiegare una eccessiva sedazione. Tra questi, alcuni stati morbosi frequentemente diagnosticati nei pazienti con cancro e l'interazione con altri farmaci (v. Tabella 2). Tra i primi vanno ricordati l'iponatriemia, la disidratazione, l'ipercalcemia e la sepsi; tra i secondi tutti i farmaci ad azione depressiva sul sistema nervoso centrale, in particolare benzodiazepine e antidepressivi che trovano spesso indicazione nel paziente oncologico come farmaci adiuvanti per il controllo dell'emesi e per il trattamento del dolore neuropatico.
Una volta chiarita la causa della eccessiva sedazione si potranno mettere in atto le opportune strategie terapeutiche, che possono consistere nella semplice riduzione, ove possibile, della dose prescritta o nella correzione dei fattori che hanno contribuito al manifestarsi della sedazione eccessiva (es. trattamento delle turbe metaboliche o dell'infezione). Talora, però, può rendersi necessaria la sospensione dell'oppiaceo che andrà sostituito con altri analgesici o farmaci adiuvanti. In caso di sovradosaggio è opportuno evitare comunque la somministrazione di naloxone per evitare la precipitazione di una sindrome dolorosa acuta, fatta eccezione per la presenza di chiari segni di depressione respiratoria. Non consigliabile, in quanto ancora poco studiato e con risultati controversi, è l'impiego di farmaci psicostimolanti.
Nausea e vomito
I meccanismi in gioco nella genesi della nausea e del vomito sono molteplici e includono la stimolazione diretta del centro del vomito, dell'VIII nervo cranico, l'induzione di una gastroparesi e stipsi.
Anche in questa evenienza, la prima domanda che il medico deve porsi è se la nausea e il vomito siano dovuti all'oppiaceo piuttosto che a uno dei numerosi fattori emetogeni che possono coesistere nel paziente oncologico. Gli oppiacei, infatti, sono in grado di provocare nausea e vomito che sono in genere dose-correlati e tendono a risolversi spontaneamente nell'arco di pochi giorni pur nell'ambito di una certa variabilità interindividuale. Talora l'emesi si accompagna a dolori addominali e distensione gassosa, e la nausea può protrarsi più a lungo in relazione all'accumulo di metaboliti attivi quali il M-6-G (morphine-6-glucuronide).
Tra le possibili cause accessorie di nausea e vomito vanno ricordate alcune situazioni morbose (gastroparesi, ostruzione intestinale, stipsi ostinata, ipertensione endocranica, alcune delle turbe metaboliche già citate) o alcuni interventi terapeutici farmacologici (chemioterapia emetizzante) o non farmacologici (radioterapia). Ovviamente tali fattori etiopatogenetici andranno presi in attenta considerazione nell'affrontare l'emesi indotta dagli oppiacei, condizione che può essere trattata con successo con i più comuni farmaci antiemetici (metoclopramide, corticosteroidi, antistaminici, fenotiazine, antagonisti della 5-HT3). In letteratura non esistono, però, adeguati studi di confronto tra queste diverse opzioni terapeutiche in grado di definire la loro relativa efficacia e tollerabilità. Il farmaco meglio documentato (e forse quello più ampiamente utilizzato) è la metoclopramide. La metoclopramide possiede un effetto aggiuntivo rispetto agli altri farmaci, quello procinetico, utile a correggere uno dei fattori responsabili dell'emesi, cioè la grastroparesi da oppiacei e risulta meglio tollerata degli altri farmaci che provocano più spesso sedazione. La metoclopramide va somministrata più volte al giorno, prima dei pasti principali, a dosaggi adeguati (20 mg 3-4 volte/die) per via parenterale (o orale se si è sicuri che il paziente non vomiti le compresse). In caso di fallimento di questa profilassi e il fenomeno emesi sia tale da impedire un adeguato controllo del dolore, è esperienza aneddotica positiva quella di ridurre la dose di morfina passando ad una somministrazione per via infusionale continua o sottocutanea in attesa che l'effetto indesiderato si esaurisca spontaneamente. La tolleranza, come già anticipato, si manifesta nell'arco di pochi giorni. Se nausea e vomito si manifestano con il movimento si può ricorrere alla prometazina.
Sia pur raramente, la metoclopramide si rende responsabile di reazioni extrapiramidali che possono spaventare il paziente. Dette manifestazioni rispondono bene all'impiego di una benzodiazepina (diazepam e.v.).
I meccanismi in gioco nella genesi della nausea e del vomito sono molteplici e includono la stimolazione diretta del centro del vomito, dell'VIII nervo cranico, l'induzione di una gastroparesi e stipsi.
Anche in questa evenienza, la prima domanda che il medico deve porsi è se la nausea e il vomito siano dovuti all'oppiaceo piuttosto che a uno dei numerosi fattori emetogeni che possono coesistere nel paziente oncologico. Gli oppiacei, infatti, sono in grado di provocare nausea e vomito che sono in genere dose-correlati e tendono a risolversi spontaneamente nell'arco di pochi giorni pur nell'ambito di una certa variabilità interindividuale. Talora l'emesi si accompagna a dolori addominali e distensione gassosa, e la nausea può protrarsi più a lungo in relazione all'accumulo di metaboliti attivi quali il M-6-G (morphine-6-glucuronide).
Tra le possibili cause accessorie di nausea e vomito vanno ricordate alcune situazioni morbose (gastroparesi, ostruzione intestinale, stipsi ostinata, ipertensione endocranica, alcune delle turbe metaboliche già citate) o alcuni interventi terapeutici farmacologici (chemioterapia emetizzante) o non farmacologici (radioterapia). Ovviamente tali fattori etiopatogenetici andranno presi in attenta considerazione nell'affrontare l'emesi indotta dagli oppiacei, condizione che può essere trattata con successo con i più comuni farmaci antiemetici (metoclopramide, corticosteroidi, antistaminici, fenotiazine, antagonisti della 5-HT3). In letteratura non esistono, però, adeguati studi di confronto tra queste diverse opzioni terapeutiche in grado di definire la loro relativa efficacia e tollerabilità. Il farmaco meglio documentato (e forse quello più ampiamente utilizzato) è la metoclopramide. La metoclopramide possiede un effetto aggiuntivo rispetto agli altri farmaci, quello procinetico, utile a correggere uno dei fattori responsabili dell'emesi, cioè la grastroparesi da oppiacei e risulta meglio tollerata degli altri farmaci che provocano più spesso sedazione. La metoclopramide va somministrata più volte al giorno, prima dei pasti principali, a dosaggi adeguati (20 mg 3-4 volte/die) per via parenterale (o orale se si è sicuri che il paziente non vomiti le compresse). In caso di fallimento di questa profilassi e il fenomeno emesi sia tale da impedire un adeguato controllo del dolore, è esperienza aneddotica positiva quella di ridurre la dose di morfina passando ad una somministrazione per via infusionale continua o sottocutanea in attesa che l'effetto indesiderato si esaurisca spontaneamente. La tolleranza, come già anticipato, si manifesta nell'arco di pochi giorni. Se nausea e vomito si manifestano con il movimento si può ricorrere alla prometazina.
Sia pur raramente, la metoclopramide si rende responsabile di reazioni extrapiramidali che possono spaventare il paziente. Dette manifestazioni rispondono bene all'impiego di una benzodiazepina (diazepam e.v.).
La stipsi
La presenza di stipsi, spesso grave e protratta, costituisce la regola in un paziente con cancro in trattamento con oppiacei. Il fenomeno, pur essendo dose-correlato, presenta una discreta variabilità interindividuale. E' un effetto indesiderato per il quale, a differenza di altri, non si instaura una tolleranza se non nel lungo termine e richiede perciò un trattamento adeguato in quasi tutti i pazienti.
Il meccanismo con il quale la terapia con oppiacei causa stipsi è triplice: un rallentamento del transito intestinale, una ridotta secrezione pancreatica, biliare e intestinale e, infine, un incremento del riassorbimento intestinale di liquidi. I pochi studi pubblicati non mostrano sostanziali differenze nella capacità di indurre stipsi tra i vari oppiacei. Anche per questo effetto indesiderato il medico deve tenere presenti possibili fattori precipitanti aggiuntivi che sono rappresentati dalla presenza di turbe idroelettrolitiche (es. disidratazione, ipokaliemia, ipercalcemia), l'immobilità, la ridotta alimentazione e l'utilizzo di certi farmaci (antidepressivi triciclici), fattori che vanno corretti prontamente, ove possibile, prima di iniziare la terapia specifica della stipsi.
Tutti i pazienti oncologici trattati con oppiacei devono essere valutati accuratamente in quanto non solo il quadro clinico di presentazione della stipsi grave può essere tale da sfuggire ad una diagnosi corretta (v. Tabella 3), ma la stipsi stessa, se non diagnosticata per tempo e opportunamente trattata, può causare serie complicazioni (v. Tabella 4).
In caso di sospetto diagnostico, risulta obbligatoria l'esplorazione dell'ampolla rettale alla ricerca di fecalomi e/o l'esecuzione di una radiografia dell'addome in bianco per valutare i segni radiologici indicatori di una stipsi grave che richiede un trattamento immediato. A tal fine esistono anche degli "score" specifici, ancorché non validati con certezza (v. Tabella 5).
L'eliminazione dei fattori precipitanti coesistenti rappresenta il primo importante approccio preventivo. Mira a correggere le turbe idroelettrolitiche, a sospendere la somministrazione di farmaci stiptizzanti (es. triciclici, Ca-antagonisti) e ad aumentare l'apporto di liquidi per os. Controversa è l'utilità di arricchire la dieta con fibre vegetali stante la necessità che il paziente assuma una quantità di liquidi adeguata.
L'intervento preventivo/terapeutico principale, una volta esclusa una ostruzione intestinale, si basa su un corretto impiego di lassativi, supposte, clisteri e revisione manuale dell'ampolla rettale. Le opzioni tra le quali il medico può fare le sue scelte sono numerose e su queste è necessario coinvolgere il paziente che deve esprimere le sue preferenze (v. Tabella 6).
Per la stragrande maggioranza di questi farmaci non vi sono studi controllati sull'efficacia nel trattamento della stipsi cronica indotta da oppiacei. Le indicazioni derivano dalla pratica clinica e quotidiana di anni d'impiego e perciò spesso ci si trova di fronte ad affermazioni e informazioni di incerto significato e attendibilità. Importante è la conoscenza delle caratteristiche fondamentali dei diversi farmaci.
- Agenti formanti massa (bulk agents). I semi di psyllium o la cellulosa vengono utilizzati per il loro contenuto in fibre e per la capacità di accrescere la massa fecale. Manifestano la loro efficacia dopo 3-5 giorni dall'inizio della somministrazione, sono spesso accompagnati da distensione addominale e dolore e richiedono un rilevante apporto idrico. Queste caratteristiche ne sconsigliano l'uso nei pazienti con cancro, anche in considerazione della scarsa documentazione esistente nel trattamento della stipsi cronica grave.
- Lassativi salini. Sono preparati a base di sali di magnesio o di sodio. Agiscono rapidamente (3-6 ore) richiamando acqua nel lume intestinale. I sali vanno evitati nei pazienti cardiopatici e con insufficienza renale. Il loro impiego nel lungo termine è comunque sconsigliato.
- Lassativi osmotici propriamente detti. Lattulosio, lattitolo e sorbitolo agiscono richiamando acqua all'interno del lume intestinale. Causano spesso flatulenza particolarmente fastidiosa e hanno un sapore sgradevole. Non sono prescrivibili a carico del SSN.
- Lassativi da contatto. Includono numerosi composti, quali: senna, cascara, bisacodile. Sono i farmaci più comunemente impiegati nel trattamento cronico della stipsi da oppiacei. Agiscono con un duplice meccanismo: aumentano la peristalsi grazie ad una stimolazione del plesso mioenterico e riducono l'assorbimento di acqua a livello intestinale. Agiscono abbastanza rapidamente (tra le 36 ore) e possono essere impiegati nel lungo termine, pur provocando così una sorta di dipendenza dal loro uso se si vuole mantenere un alvo regolare.
- Lassativi lubrificanti (olio di vaselina). Ammorbidiscono e lubrificano le feci e agiscono abbastanza rapidamente (7-8 ore). Non vanno impiegati nel lungo termine in quanto possono dar luogo a irritazione perianale e malassorbimento.
- Procinetici. Metoclopramide e domperidone vengono talora impiegati per prevenire o trattare la stipsi da oppiacei. Tale impiego si basa, però, solo su esperienze aneddotiche.
- Antagonisti degli oppiacei. Si tratta di due farmaci potenzialmente utili: il naloxone orale (antagonista mu) e il metilnaltrexone parenterale (antagonista periferico dei recettori degli oppiacei). I dati disponibili, però, sono estremamente limitati. Entrambi i farmaci sono in grado di indurre un effetto lassativo o di migliorare i sintomi correlati alla stipsi. Per il metilnaltrexone è disponibile una migliore documentazione di efficacia, specie nei pazienti in trattamento con metadone. Il loro effetto è dose-correlato, ma va tenuto presente che possono precipitare una sindrome d'astinenza. Il naloxone non è registrato per questa indicazione, e il metilnaltrexone non è disponibile in Italia.
- Clisteri e supposte. Sono utili e ampiamente utilizzati, specie nel breve termine e spesso associati a revisione manuale dell'ampolla rettale in fase di acuzie della stipsi.
La presenza di stipsi, spesso grave e protratta, costituisce la regola in un paziente con cancro in trattamento con oppiacei. Il fenomeno, pur essendo dose-correlato, presenta una discreta variabilità interindividuale. E' un effetto indesiderato per il quale, a differenza di altri, non si instaura una tolleranza se non nel lungo termine e richiede perciò un trattamento adeguato in quasi tutti i pazienti.
Il meccanismo con il quale la terapia con oppiacei causa stipsi è triplice: un rallentamento del transito intestinale, una ridotta secrezione pancreatica, biliare e intestinale e, infine, un incremento del riassorbimento intestinale di liquidi. I pochi studi pubblicati non mostrano sostanziali differenze nella capacità di indurre stipsi tra i vari oppiacei. Anche per questo effetto indesiderato il medico deve tenere presenti possibili fattori precipitanti aggiuntivi che sono rappresentati dalla presenza di turbe idroelettrolitiche (es. disidratazione, ipokaliemia, ipercalcemia), l'immobilità, la ridotta alimentazione e l'utilizzo di certi farmaci (antidepressivi triciclici), fattori che vanno corretti prontamente, ove possibile, prima di iniziare la terapia specifica della stipsi.
Tutti i pazienti oncologici trattati con oppiacei devono essere valutati accuratamente in quanto non solo il quadro clinico di presentazione della stipsi grave può essere tale da sfuggire ad una diagnosi corretta (v. Tabella 3), ma la stipsi stessa, se non diagnosticata per tempo e opportunamente trattata, può causare serie complicazioni (v. Tabella 4).
In caso di sospetto diagnostico, risulta obbligatoria l'esplorazione dell'ampolla rettale alla ricerca di fecalomi e/o l'esecuzione di una radiografia dell'addome in bianco per valutare i segni radiologici indicatori di una stipsi grave che richiede un trattamento immediato. A tal fine esistono anche degli "score" specifici, ancorché non validati con certezza (v. Tabella 5).
L'eliminazione dei fattori precipitanti coesistenti rappresenta il primo importante approccio preventivo. Mira a correggere le turbe idroelettrolitiche, a sospendere la somministrazione di farmaci stiptizzanti (es. triciclici, Ca-antagonisti) e ad aumentare l'apporto di liquidi per os. Controversa è l'utilità di arricchire la dieta con fibre vegetali stante la necessità che il paziente assuma una quantità di liquidi adeguata.
L'intervento preventivo/terapeutico principale, una volta esclusa una ostruzione intestinale, si basa su un corretto impiego di lassativi, supposte, clisteri e revisione manuale dell'ampolla rettale. Le opzioni tra le quali il medico può fare le sue scelte sono numerose e su queste è necessario coinvolgere il paziente che deve esprimere le sue preferenze (v. Tabella 6).
Per la stragrande maggioranza di questi farmaci non vi sono studi controllati sull'efficacia nel trattamento della stipsi cronica indotta da oppiacei. Le indicazioni derivano dalla pratica clinica e quotidiana di anni d'impiego e perciò spesso ci si trova di fronte ad affermazioni e informazioni di incerto significato e attendibilità. Importante è la conoscenza delle caratteristiche fondamentali dei diversi farmaci.
- Agenti formanti massa (bulk agents). I semi di psyllium o la cellulosa vengono utilizzati per il loro contenuto in fibre e per la capacità di accrescere la massa fecale. Manifestano la loro efficacia dopo 3-5 giorni dall'inizio della somministrazione, sono spesso accompagnati da distensione addominale e dolore e richiedono un rilevante apporto idrico. Queste caratteristiche ne sconsigliano l'uso nei pazienti con cancro, anche in considerazione della scarsa documentazione esistente nel trattamento della stipsi cronica grave.
- Lassativi salini. Sono preparati a base di sali di magnesio o di sodio. Agiscono rapidamente (3-6 ore) richiamando acqua nel lume intestinale. I sali vanno evitati nei pazienti cardiopatici e con insufficienza renale. Il loro impiego nel lungo termine è comunque sconsigliato.
- Lassativi osmotici propriamente detti. Lattulosio, lattitolo e sorbitolo agiscono richiamando acqua all'interno del lume intestinale. Causano spesso flatulenza particolarmente fastidiosa e hanno un sapore sgradevole. Non sono prescrivibili a carico del SSN.
- Lassativi da contatto. Includono numerosi composti, quali: senna, cascara, bisacodile. Sono i farmaci più comunemente impiegati nel trattamento cronico della stipsi da oppiacei. Agiscono con un duplice meccanismo: aumentano la peristalsi grazie ad una stimolazione del plesso mioenterico e riducono l'assorbimento di acqua a livello intestinale. Agiscono abbastanza rapidamente (tra le 36 ore) e possono essere impiegati nel lungo termine, pur provocando così una sorta di dipendenza dal loro uso se si vuole mantenere un alvo regolare.
- Lassativi lubrificanti (olio di vaselina). Ammorbidiscono e lubrificano le feci e agiscono abbastanza rapidamente (7-8 ore). Non vanno impiegati nel lungo termine in quanto possono dar luogo a irritazione perianale e malassorbimento.
- Procinetici. Metoclopramide e domperidone vengono talora impiegati per prevenire o trattare la stipsi da oppiacei. Tale impiego si basa, però, solo su esperienze aneddotiche.
- Antagonisti degli oppiacei. Si tratta di due farmaci potenzialmente utili: il naloxone orale (antagonista mu) e il metilnaltrexone parenterale (antagonista periferico dei recettori degli oppiacei). I dati disponibili, però, sono estremamente limitati. Entrambi i farmaci sono in grado di indurre un effetto lassativo o di migliorare i sintomi correlati alla stipsi. Per il metilnaltrexone è disponibile una migliore documentazione di efficacia, specie nei pazienti in trattamento con metadone. Il loro effetto è dose-correlato, ma va tenuto presente che possono precipitare una sindrome d'astinenza. Il naloxone non è registrato per questa indicazione, e il metilnaltrexone non è disponibile in Italia.
- Clisteri e supposte. Sono utili e ampiamente utilizzati, specie nel breve termine e spesso associati a revisione manuale dell'ampolla rettale in fase di acuzie della stipsi.
Depressione respiratoria
Evento noto, temuto forse più del dovuto in quanto risulta dose-correlato e per la sua comparsa richiede la presenza di altri fattori concomitanti (es. sedazione eccessiva, insufficienza renale). Va ricordato come i meccanismi recettoriali responsabili di questo effetto indesiderato siano diversi da quelli responsabili dell'analgesia. Gli oppiacei inducono una depressione del "drive" respiratorio agendo direttamente sul centro respiratorio bulbare e pontino. La bradipnea (8-12 respiri/minuto) che ne consegue viene, però, ben tollerata dalla maggior parte dei pazienti. Problemi possono invece manifestarsi in caso di ridotta riserva respiratoria per altre cause. L'evenienza risulta in genere più frequente nei pazienti che iniziano una terapia con oppiacei e nei quali si aumenta la dose troppo rapidamente alla ricerca di quella ottimale. Più difficilmente si verifica in pazienti in trattamento cronico nei quali si stabilisce quasi sempre abbastanza rapidamente una tolleranza.
In caso di comparsa di depressione respiratoria, l'oppiaceo va sospeso o la dose ridotta a seconda della necessità. Nei casi più gravi può essere usato il naloxone, iniziando con incrementi graduali di dose (0,1 mg e.v. ogni 35 minuti) ricordando che il naloxone ha una emivita di 30 minuti circa e che quindi può richiedere l'attento monitoraggio nel tempo del paziente e l'impiego di ripetute somministrazioni o il ricorso ad una infusione continua. Durante l'impiego di naloxone può manifestarsi una sindrome d'astinenza e la perdita del controllo del dolore.
Evento noto, temuto forse più del dovuto in quanto risulta dose-correlato e per la sua comparsa richiede la presenza di altri fattori concomitanti (es. sedazione eccessiva, insufficienza renale). Va ricordato come i meccanismi recettoriali responsabili di questo effetto indesiderato siano diversi da quelli responsabili dell'analgesia. Gli oppiacei inducono una depressione del "drive" respiratorio agendo direttamente sul centro respiratorio bulbare e pontino. La bradipnea (8-12 respiri/minuto) che ne consegue viene, però, ben tollerata dalla maggior parte dei pazienti. Problemi possono invece manifestarsi in caso di ridotta riserva respiratoria per altre cause. L'evenienza risulta in genere più frequente nei pazienti che iniziano una terapia con oppiacei e nei quali si aumenta la dose troppo rapidamente alla ricerca di quella ottimale. Più difficilmente si verifica in pazienti in trattamento cronico nei quali si stabilisce quasi sempre abbastanza rapidamente una tolleranza.
In caso di comparsa di depressione respiratoria, l'oppiaceo va sospeso o la dose ridotta a seconda della necessità. Nei casi più gravi può essere usato il naloxone, iniziando con incrementi graduali di dose (0,1 mg e.v. ogni 35 minuti) ricordando che il naloxone ha una emivita di 30 minuti circa e che quindi può richiedere l'attento monitoraggio nel tempo del paziente e l'impiego di ripetute somministrazioni o il ricorso ad una infusione continua. Durante l'impiego di naloxone può manifestarsi una sindrome d'astinenza e la perdita del controllo del dolore.
Prurito
Evento poco frequente (2-10% dei pazienti) che si manifesta con l'impiego degli oppiacei per via spinale (epidurale o intratecale). L'etiologia è sconosciuta e di conseguenza il suo trattamento è del tutto empirico e aneddotico. Sono stati utilizzati i farmaci più vari (es. naloxone, butirrofenoni, antistaminici, butorfanolo e nalbufina) senza che in realtà si possa ritenere alcuno di essi realmente efficace.
Evento poco frequente (2-10% dei pazienti) che si manifesta con l'impiego degli oppiacei per via spinale (epidurale o intratecale). L'etiologia è sconosciuta e di conseguenza il suo trattamento è del tutto empirico e aneddotico. Sono stati utilizzati i farmaci più vari (es. naloxone, butirrofenoni, antistaminici, butorfanolo e nalbufina) senza che in realtà si possa ritenere alcuno di essi realmente efficace.
Ritenzione urinaria
La ritenzione urinaria si presenta sia dopo somministrazione orale che per via spinale, soprattutto in pazienti che iniziano la terapia con oppiacei per la prima volta, in particolare durante i primi giorni di trattamento. Spesso coesistono fattori favorenti (età avanzata, ipertrofia prostatica, uso di farmaci). Il fenomeno tende ad esaurirsi col tempo e può non richiedere trattamenti (salvo cateterizzazione saltuaria). Ove persista e sia clinicamente rilevante può essere utilizzato il naloxone.
La ritenzione urinaria si presenta sia dopo somministrazione orale che per via spinale, soprattutto in pazienti che iniziano la terapia con oppiacei per la prima volta, in particolare durante i primi giorni di trattamento. Spesso coesistono fattori favorenti (età avanzata, ipertrofia prostatica, uso di farmaci). Il fenomeno tende ad esaurirsi col tempo e può non richiedere trattamenti (salvo cateterizzazione saltuaria). Ove persista e sia clinicamente rilevante può essere utilizzato il naloxone.
Edema polmonare non-cardiogeno
Fenomeno ben conosciuto nei tossicodipendenti, si può rilevare nei pazienti affetti da cancro nei quali si inizia un trattamento parenterale utilizzando incrementi di dose troppo rapidi e consistenti. Il meccanismo patogenetico è sconosciuto, ma può chiamare in causa una alterata permeabilità capillare e la deposizione di immunocomplessi nel polmone con danno endoteliale. Il miglior trattamento consiste in un uso prudente delle dosi elevate di oppiacei, cioè nella prevenzione. Sono stati segnalati casi di edema polmonare in pazienti trattati con naloxone.
Fenomeno ben conosciuto nei tossicodipendenti, si può rilevare nei pazienti affetti da cancro nei quali si inizia un trattamento parenterale utilizzando incrementi di dose troppo rapidi e consistenti. Il meccanismo patogenetico è sconosciuto, ma può chiamare in causa una alterata permeabilità capillare e la deposizione di immunocomplessi nel polmone con danno endoteliale. Il miglior trattamento consiste in un uso prudente delle dosi elevate di oppiacei, cioè nella prevenzione. Sono stati segnalati casi di edema polmonare in pazienti trattati con naloxone.
Neurotossicita'
In questi ultimi anni si è fatta sempre più evidente e meglio caratterizzata l'importanza della potenziale neurotossicità da oppiacei tanto da farne una sindrome a se stante (oppioid induced neurotoxicity: OIN). Le caratteristiche di detta sindrome sono illustrate nella Tabella 7, mentre i fattori che possono favorirne la comparsa sono elencati nella Tabella 8.
I dati esistenti in letteratura non permettono di affermare con certezza che la OIN sia una entità a se stante dovuta alla terapia con oppiacei nei pazienti oncologici o, piuttosto, che sia espressione della malattia neoplastica di per sé, o di altri fattori concomitanti, specie per quanto riguarda la comparsa di sintomi quali delirio, allucinazioni e turbe cognitive. Il loro riscontro in un paziente neoplastico trattato a lungo con dosi elevate di oppiacei o con particolari tipologie di oppiacei (buprenorfina, pentazocina) deve, però, far prendere in attenta considerazione la possibilità di una neurotossicità da oppiacei e la necessità quindi di mettere in atto misure di trattamento appropriate quali la riduzione della dose o la sospensione dell'oppiaceo o la sua sostituzione con un altro (rotazione).
Meno controverso è il rapporto causale tra somministrazione di oppiacei e mioclonie, iperalgesia e allodinia, effetti indesiderati che risultano per altro meno frequenti rispetto agli altri segni di neurotossicità.
Il mioclono è uno spasmo di certi gruppi muscolari, estremamente doloroso, che talora può progredire verso un quadro di convulsioni tonico-cloniche. E' un fenomeno chiaramente dose-dipendente e durante il trattamento con morfina o altri oppiacei ad alto dosaggio forse dovuto all'accumulo di metaboliti (M-3-G e M-6-G) che possono stimolare recettori non oppioidi presenti nel SNC e rendersi così responsabili delle mioclonie.
L'iperalgesia è anch'essa una possibile manifestazione di neurotossicità da oppiacei. Si manifesta come amplificazione improvvisa e non spiegata della sindrome dolorosa neoplastica che si sta trattando o come comparsa di una esagerata sensibilità ad uno stimolo esterno doloroso di modesta entità (es. puntura di un ago). Nel primo caso è facile che il medico possa cadere nell'errore di considerare l'accentuazione del dolore oncologico come necessità di aumentare la dose di morfina e di conseguenza andrà incontro ad una ulteriore paradossale accentuazione del dolore, che richiede invece una riduzione della dose di oppiaceo.
L'allodinia (esagerata risposta dolorosa ad uno stimolo innocuo) è invece fenomeno descritto con molti oppiacei, ma mal documentato nella pratica clinica. Il trattamento dei vari sintomi di OIN è tutt'altro che semplice. Una volta riconosciuta come tale, avendo cioè escluse e/o trattate altre possibili cause che mimano una OIN, la terapia si basa sulla riduzione della dose dell'oppiaceo e/o sul cambio dell'oppiaceo (rotazione). L'impiego del clonazepam (0,5 mg per 2/die per os) o di altri anticonvulsivanti o di antipsicotici (aloperidolo) viene proposto sulla base di evidenze aneddotiche.
In questi ultimi anni si è fatta sempre più evidente e meglio caratterizzata l'importanza della potenziale neurotossicità da oppiacei tanto da farne una sindrome a se stante (oppioid induced neurotoxicity: OIN). Le caratteristiche di detta sindrome sono illustrate nella Tabella 7, mentre i fattori che possono favorirne la comparsa sono elencati nella Tabella 8.
I dati esistenti in letteratura non permettono di affermare con certezza che la OIN sia una entità a se stante dovuta alla terapia con oppiacei nei pazienti oncologici o, piuttosto, che sia espressione della malattia neoplastica di per sé, o di altri fattori concomitanti, specie per quanto riguarda la comparsa di sintomi quali delirio, allucinazioni e turbe cognitive. Il loro riscontro in un paziente neoplastico trattato a lungo con dosi elevate di oppiacei o con particolari tipologie di oppiacei (buprenorfina, pentazocina) deve, però, far prendere in attenta considerazione la possibilità di una neurotossicità da oppiacei e la necessità quindi di mettere in atto misure di trattamento appropriate quali la riduzione della dose o la sospensione dell'oppiaceo o la sua sostituzione con un altro (rotazione).
Meno controverso è il rapporto causale tra somministrazione di oppiacei e mioclonie, iperalgesia e allodinia, effetti indesiderati che risultano per altro meno frequenti rispetto agli altri segni di neurotossicità.
Il mioclono è uno spasmo di certi gruppi muscolari, estremamente doloroso, che talora può progredire verso un quadro di convulsioni tonico-cloniche. E' un fenomeno chiaramente dose-dipendente e durante il trattamento con morfina o altri oppiacei ad alto dosaggio forse dovuto all'accumulo di metaboliti (M-3-G e M-6-G) che possono stimolare recettori non oppioidi presenti nel SNC e rendersi così responsabili delle mioclonie.
L'iperalgesia è anch'essa una possibile manifestazione di neurotossicità da oppiacei. Si manifesta come amplificazione improvvisa e non spiegata della sindrome dolorosa neoplastica che si sta trattando o come comparsa di una esagerata sensibilità ad uno stimolo esterno doloroso di modesta entità (es. puntura di un ago). Nel primo caso è facile che il medico possa cadere nell'errore di considerare l'accentuazione del dolore oncologico come necessità di aumentare la dose di morfina e di conseguenza andrà incontro ad una ulteriore paradossale accentuazione del dolore, che richiede invece una riduzione della dose di oppiaceo.
L'allodinia (esagerata risposta dolorosa ad uno stimolo innocuo) è invece fenomeno descritto con molti oppiacei, ma mal documentato nella pratica clinica. Il trattamento dei vari sintomi di OIN è tutt'altro che semplice. Una volta riconosciuta come tale, avendo cioè escluse e/o trattate altre possibili cause che mimano una OIN, la terapia si basa sulla riduzione della dose dell'oppiaceo e/o sul cambio dell'oppiaceo (rotazione). L'impiego del clonazepam (0,5 mg per 2/die per os) o di altri anticonvulsivanti o di antipsicotici (aloperidolo) viene proposto sulla base di evidenze aneddotiche.
La riduzione della dose
La gran parte degli effetti indesiderati degli oppiacei è dose-dipendente e la riduzione della dose comporta generalmente una risoluzione, o perlomeno una attenuazione consistente dei sintomi. Se il paziente ha un dolore ben controllato da quella dose che causa uno o più effetti indesiderati, il primo tentativo da fare è quello di ridurre gradualmente il dosaggio, in quanto spesso così facendo si riesce a mantenere una analgesia soddisfacente. Ove ciò non fosse, il passo successivo consiste nell'aggiungere al trattamento con oppiacei altre strategie terapeutiche antalgiche che possono esercitare un effetto additivo o sinergico. Dette opzioni ulteriori consistono:
- nella aggiunta di analgesici di altre classi (FANS, paracetamolo). L'impiego dei FANS è sicuramente una opzione ragionevole in talune circostanze (vedi dolore da metastasi ossee), ma va fatto prestando attenzione ai possibili effetti indesiderati (es. insufficienza renale funzionale, danno gastrointestinale);
- nell'impiego dei cosiddetti farmaci analgesici adiuvanti (antidepressivi, anticomiziali, sedativi, anestetici locali, bifosfonati, corticosteroidi, clonidina);
- nella messa in atto di terapie volte a colpire specificamente la neoplasia (radioterapia in modo particolare, e chemioterapia);
- nell'impiego di tecniche anestesiologiche e neurochirurgiche (es. blocco del plesso celiaco nel carcinoma pancreatico) oppure nell'impiego degli oppiacei per via intraspinale, riducendo così la necessità di somministrazione di oppiacei per via sistemica con conseguente controllo degli effetti indesiderati e del dolore.
Alcune delle opzioni ricordate vanno valutate con molta cura dal momento che richiedono esperienza specifica e non sono supportate da dati convincenti di efficacia e tollerabilità. La scelta dell'approccio ottimale non è perciò facilmente indentificabile.
La gran parte degli effetti indesiderati degli oppiacei è dose-dipendente e la riduzione della dose comporta generalmente una risoluzione, o perlomeno una attenuazione consistente dei sintomi. Se il paziente ha un dolore ben controllato da quella dose che causa uno o più effetti indesiderati, il primo tentativo da fare è quello di ridurre gradualmente il dosaggio, in quanto spesso così facendo si riesce a mantenere una analgesia soddisfacente. Ove ciò non fosse, il passo successivo consiste nell'aggiungere al trattamento con oppiacei altre strategie terapeutiche antalgiche che possono esercitare un effetto additivo o sinergico. Dette opzioni ulteriori consistono:
- nella aggiunta di analgesici di altre classi (FANS, paracetamolo). L'impiego dei FANS è sicuramente una opzione ragionevole in talune circostanze (vedi dolore da metastasi ossee), ma va fatto prestando attenzione ai possibili effetti indesiderati (es. insufficienza renale funzionale, danno gastrointestinale);
- nell'impiego dei cosiddetti farmaci analgesici adiuvanti (antidepressivi, anticomiziali, sedativi, anestetici locali, bifosfonati, corticosteroidi, clonidina);
- nella messa in atto di terapie volte a colpire specificamente la neoplasia (radioterapia in modo particolare, e chemioterapia);
- nell'impiego di tecniche anestesiologiche e neurochirurgiche (es. blocco del plesso celiaco nel carcinoma pancreatico) oppure nell'impiego degli oppiacei per via intraspinale, riducendo così la necessità di somministrazione di oppiacei per via sistemica con conseguente controllo degli effetti indesiderati e del dolore.
Alcune delle opzioni ricordate vanno valutate con molta cura dal momento che richiedono esperienza specifica e non sono supportate da dati convincenti di efficacia e tollerabilità. La scelta dell'approccio ottimale non è perciò facilmente indentificabile.
Rotazione degli oppiacei
Vi è unanime consenso sul fatto che la morfina orale rappresenti l'oppiaceo di scelta nel trattamento del dolore oncologico cronico, da moderato a grave, in ragione della sua efficacia, tollerabilità, semplicità di somministrazione e basso costo. Ciononostante, nella pratica clinica il medico può trovarsi di fronte a situazioni nelle quali l'uso orale della morfina può risultare non ottimale in termini di scarsa efficacia o soprattutto comparsa di effetti indesiderati gravi e persistenti quali quelli configuranti la OIN e per i quali le varie strategie di intervento (trattamento sintomatico, riduzione di dose, utilizzo di coadiuvanti) sono fallite. In queste situazioni, peraltro poco frequenti, si prospetta la possibilità che un cambio dell'oppiaceo impiegato possa costituire una soluzione al problema. Tale ipotesi si basa su due presupposti: il riscontro nella pratica clinica di una certa variabilità interindividuale nella efficacia e tollerabilità riscontrata con i vari oppiacei disponibili (morfina, metadone, fentanil); la constatazione fatta in studi preclinici che gli oppiacei possono agire su recettori diversi e che il profilo recettoriale individuale può così influenzare sia l'efficacia che la tollerabilità del farmaco in questione. Sulla base di tali presupposti si può proporre, ove ricorrano le situazioni sopra menzionate, la sostituzione di un oppiaceo con un altro nella speranza di ottenere un migliore rapporto efficacia/tollerabilità. Questo approccio al problema della tossicità richiede, però, una conoscenza approfondita delle caratteristiche dei vari oppiacei disponibili e l'acquisizione di una familiarità nell'impiego delle linee guida, che forniscono informazioni sulle dosi equianalgesiche dei vari farmaci oppiacei (v. Tabella di conversione). Ciò risulta indispensabile nel momento in cui si cambi l'oppiaceo in uso con un altro. La procedura di sostituzione normalmente prevede la somministrazione del nuovo oppiaceo in dose ridotta (del 25%-50%) rispetto a quella equianalgesica indicata nelle tabelle di conversione. Questo per vari motivi: vi può essere una incompleta tolleranza crociata tra i due farmaci, con conseguente rischio di ulteriore tossicità; esiste una variabilità interindividuale nella potenza relativa dei due farmaci e le dosi indicate nelle tavole di conversione sono perciò solo indicative, suggerendo l'opportunità di un incremento globale della dose del nuovo farmaco. Fanno eccezione a queste regole il passaggio al fentanil transdermico che non richiede riduzione e quello al metadone, che richiede invece una riduzione più consistente (pari al 75-90% della dose equianalgesica). Il paziente deve essere attentamente monitorato sia per l'efficacia analgesica che per la tollerabilità per porre in essere gli aggiustamenti posologici necessari. Va, però, sottolineato come la dimostrazione della efficacia della rotazione o sostituzione dei vari oppiacei si basi soltanto su studi non controllati e su casistiche aneddotiche. Non solo, il risultato della rotazione è spesso imprevedibile e talora dannoso, richiedendo un nuovo cambiamento dell'oppiaceo utilizzato. Detto approccio va perciò in genere riservato allo specialista (oncologo o palliativista). Sulla base dei dati disponibili si può comunque affermare che non vi è evidenza di alcun tipo per ritenere un oppiaceo superiore per efficacia o tollerabilità ad un altro, riconfermando così la morfina come il farmaco di scelta.
Vi è unanime consenso sul fatto che la morfina orale rappresenti l'oppiaceo di scelta nel trattamento del dolore oncologico cronico, da moderato a grave, in ragione della sua efficacia, tollerabilità, semplicità di somministrazione e basso costo. Ciononostante, nella pratica clinica il medico può trovarsi di fronte a situazioni nelle quali l'uso orale della morfina può risultare non ottimale in termini di scarsa efficacia o soprattutto comparsa di effetti indesiderati gravi e persistenti quali quelli configuranti la OIN e per i quali le varie strategie di intervento (trattamento sintomatico, riduzione di dose, utilizzo di coadiuvanti) sono fallite. In queste situazioni, peraltro poco frequenti, si prospetta la possibilità che un cambio dell'oppiaceo impiegato possa costituire una soluzione al problema. Tale ipotesi si basa su due presupposti: il riscontro nella pratica clinica di una certa variabilità interindividuale nella efficacia e tollerabilità riscontrata con i vari oppiacei disponibili (morfina, metadone, fentanil); la constatazione fatta in studi preclinici che gli oppiacei possono agire su recettori diversi e che il profilo recettoriale individuale può così influenzare sia l'efficacia che la tollerabilità del farmaco in questione. Sulla base di tali presupposti si può proporre, ove ricorrano le situazioni sopra menzionate, la sostituzione di un oppiaceo con un altro nella speranza di ottenere un migliore rapporto efficacia/tollerabilità. Questo approccio al problema della tossicità richiede, però, una conoscenza approfondita delle caratteristiche dei vari oppiacei disponibili e l'acquisizione di una familiarità nell'impiego delle linee guida, che forniscono informazioni sulle dosi equianalgesiche dei vari farmaci oppiacei (v. Tabella di conversione). Ciò risulta indispensabile nel momento in cui si cambi l'oppiaceo in uso con un altro. La procedura di sostituzione normalmente prevede la somministrazione del nuovo oppiaceo in dose ridotta (del 25%-50%) rispetto a quella equianalgesica indicata nelle tabelle di conversione. Questo per vari motivi: vi può essere una incompleta tolleranza crociata tra i due farmaci, con conseguente rischio di ulteriore tossicità; esiste una variabilità interindividuale nella potenza relativa dei due farmaci e le dosi indicate nelle tavole di conversione sono perciò solo indicative, suggerendo l'opportunità di un incremento globale della dose del nuovo farmaco. Fanno eccezione a queste regole il passaggio al fentanil transdermico che non richiede riduzione e quello al metadone, che richiede invece una riduzione più consistente (pari al 75-90% della dose equianalgesica). Il paziente deve essere attentamente monitorato sia per l'efficacia analgesica che per la tollerabilità per porre in essere gli aggiustamenti posologici necessari. Va, però, sottolineato come la dimostrazione della efficacia della rotazione o sostituzione dei vari oppiacei si basi soltanto su studi non controllati e su casistiche aneddotiche. Non solo, il risultato della rotazione è spesso imprevedibile e talora dannoso, richiedendo un nuovo cambiamento dell'oppiaceo utilizzato. Detto approccio va perciò in genere riservato allo specialista (oncologo o palliativista). Sulla base dei dati disponibili si può comunque affermare che non vi è evidenza di alcun tipo per ritenere un oppiaceo superiore per efficacia o tollerabilità ad un altro, riconfermando così la morfina come il farmaco di scelta.
Cambiamento della via di somministrazione
Come già accennato precedentemente, esistono dati non controllati, ma apparentemente abbastanza attendibili, che alcuni degli effetti indesiderati possano essere tenuti sotto controllo dal cambiamento della via di somministrazione dalla via orale a quella parenterale (sottocutanea o infusionale). Questo è stato più frequentemente riportato per l'emesi, i sintomi da depressione del SNC e la stipsi.
Come già accennato precedentemente, esistono dati non controllati, ma apparentemente abbastanza attendibili, che alcuni degli effetti indesiderati possano essere tenuti sotto controllo dal cambiamento della via di somministrazione dalla via orale a quella parenterale (sottocutanea o infusionale). Questo è stato più frequentemente riportato per l'emesi, i sintomi da depressione del SNC e la stipsi.
Conclusioni
L'efficacia degli oppiacei nel trattamento del dolore cronico da cancro è fuori discussione, e non vi sono giustificazioni allo scarso ricorso che i medici fanno a questo strumento terapeutico. Gli effetti indesiderati degli oppiacei sono numerosi, ma raramente gravi. La potenziale induzione di una farmacodipendenza è di fatto inesistente. Non solo, ma la letteratura scientifica bene documenta come si possa spesso porre rimedio agli effetti indesiderati senza dovere interrompere un trattamento efficace e molto spesso insostituibile. Va comunque detto e riconosciuto che malgrado i molteplici suggerimenti sulle modalità di prevenzione e trattamento degli effetti indesiderati degli oppiacei, il livello di evidenza scientifica su tali modalità rimanga assai basso anche se il consenso tra i medici sulla loro efficacia sia rilevante.
Sono necessari anche in questo settore studi ulteriori volti a fornire una conoscenza più approfondita delle caratteristiche di questa classe di farmaci. Non è pensabile che si possa sfruttare appieno la loro capacità a lenire il dolore cronico da cancro se il prescrittore non impara a conoscere in modo adeguato le modalità d'impiego e il paziente non acquisisce la consapevolezza che questa classe di farmaci può fornire un apporto fondamentale alla sua qualità di vita senza far correre rischi particolari.
L'efficacia degli oppiacei nel trattamento del dolore cronico da cancro è fuori discussione, e non vi sono giustificazioni allo scarso ricorso che i medici fanno a questo strumento terapeutico. Gli effetti indesiderati degli oppiacei sono numerosi, ma raramente gravi. La potenziale induzione di una farmacodipendenza è di fatto inesistente. Non solo, ma la letteratura scientifica bene documenta come si possa spesso porre rimedio agli effetti indesiderati senza dovere interrompere un trattamento efficace e molto spesso insostituibile. Va comunque detto e riconosciuto che malgrado i molteplici suggerimenti sulle modalità di prevenzione e trattamento degli effetti indesiderati degli oppiacei, il livello di evidenza scientifica su tali modalità rimanga assai basso anche se il consenso tra i medici sulla loro efficacia sia rilevante.
Sono necessari anche in questo settore studi ulteriori volti a fornire una conoscenza più approfondita delle caratteristiche di questa classe di farmaci. Non è pensabile che si possa sfruttare appieno la loro capacità a lenire il dolore cronico da cancro se il prescrittore non impara a conoscere in modo adeguato le modalità d'impiego e il paziente non acquisisce la consapevolezza che questa classe di farmaci può fornire un apporto fondamentale alla sua qualità di vita senza far correre rischi particolari.
Bibliografia
- Sweeney C, Bruera ED. Opioid side effect and management. Cancer Pain: Assessment and Management. ED Bruera e RK Portenoy Editors. Cambridge Univ. Press. 2003.
- Cherny N, Ripamonti C, Pereira J, Davis C, Fallon M, McQuay H. Strategies to manage the adverse effects of oral morphine: an evidence-based report. J Clin Oncol 2001; 19: 2542-54.
- Indelicato RA, Portenoy RK. Opioid rotation in the management of refractory cancer pain. J Clin Oncol 2002; 20: 348-52.
- Expert Working Group of the European Association for Palliative Care. Fortnightly Review: Morphine in cancer pain: modes of administration. BMJ 1996; 312: 823-826.
- ZH Bajawa, CA Warfield: Pharmacologic therapy of cancer 2004; UpToDate 12; 1. Pain.
Informazioni sui Farmaci Anno 2004, n. 2